Il 13 maggio di 34 anni fa, Chet Baker cadeva dalla finestra di una camera d’albergo di Amsterdam. Moriva così, a 59 anni, uno dei più grandi trombettisti della storia del jazz. In Italia, e precisamente a Lucca, c’è un’altra finestra d’albergo a cui si lega un ricordo, assai meno drammatico e anzi poetico, di Chet l’americano. Dal secondo piano dell’Hotel Universo, nella piazza del Giglio, i lucchesi ricordano Chet Baker seduto a cavalcioni sul davanzale mentre suona in modo straordinario la sua tromba.
Un’aura quasi leggendaria hanno poi assunto quei “cinque minuti due volte al giorno” – tanto il giudice gli aveva concesso – durante i quali i lucchesi si radunavano sulle Mura di Lucca per ascoltare Chet suonare richiuso nella sua cella dentro il Carcere di San Giorgio. Qui, fra il 1960 e il 1961, il musicista dell’Oklahoma infatti fu detenuto all’età di 31 anni per consumo di droga. Nell’album dei ricordi lucchesi c’è pure il concerto della sera di Natale, sotto la cella di Chet, improvvisato dal grande clarinettista Henghel Gualdi assieme a quattro musicisti. Tutto fu poi interrotto dalle guardie carcerarie.
Con “Remember Chet. Lucca ricorda Chet Baker”, nell’anniversario della sua morte, sabato 14 maggio, l’Archivio di Stato di Lucca dedica una mostra, un concerto e un ‘processo’ al trombettista americano attraverso documenti, verbali e carte processuali che per la prima volta, tutte insieme, vengono esposte al pubblico.
L’idea è di Jaleh Bahrabadi, direttrice fino a pochi mesi fa dell’Archivio di Stato di Lucca e oggi alla guida di quello di Pisa. “Un vecchio archivista – racconta – ci disse che in uno dei registri del Carcere di San Giorgio, consegnato all’Archivio di Stato, tra le registrazioni dei detenuti c’era anche quella di Chet Baker”.
Da qui prende così corpo il progetto che, oltre all’Archivio di Stato, coinvolge collezionisti, disegnatori, il Circolo Jazz di Lucca, il contrabbassista Giovanni Tommaso che suonava con Baker, e il Procuratore della Repubblica di Lucca, Domenico Manzione, appassionato di jazz e autore del libro “Il mio amico Chet”, in cui ripercorre con i documenti originali tutte le fasi del processo nel Tribunale di Lucca che si chiuse con la condanna del trombettista.
“Tra i diversi documenti in mostra – spiega Bahrabadi che, assieme all’attuale direttrice dell’Archivio di Stato, Maria Sabrina La Pusata, ha organizzato l’evento – avremo anche la registrazione dell’ingresso in carcere di Chet, i verbali di arresto, il suo interrogatorio, la sentenza del Tribunale, la perizia psichiatrica”. Il pubblico ministero aveva chiesto per Chet Baker una condanna a 7 anni, poi tramutata in tre e infine ridotta a 16 mesi. Solo verso la fine della detenzione il giudice accoglierà la sua richiesta, tante volte respinta, di poter suonare la tromba e gli accorda i famosi “cinque minuti due volte al giorno”.
Henry Chesney Baker viene arrestato nella pensione Santa Gemma di Tonfano a Marina di Pietrasanta il 22 agosto 1960, “avendo avuto – si legge nel verbale della questura – fondato sospetto di fuga”. Alle 20 è in carcere e da lì uscirà solo 16 mesi più tardi disintossicato dalla dipendenza dal Palfium, un farmaco con effetto stupefacente che il trombettista si faceva somministrare da alcuni medici finiti a processo assieme a lui.
La sua vicenda giudiziaria inizia il 31 luglio del 1960. Nel verbale della polizia giudiziaria della questura di Lucca è indicato come “responsabile dell’infrazione all’art. 729 C.P.”, cioè di abuso di sostanze stupefacenti.
Quel giorno, intorno alle 16, il gestore del distributore di benzina Shell in viale San Concordio a Lucca chiama la polizia perché insospettito dal “conducente della Fiat Nuova 500” nella cui mano aveva notato una siringa. Chet si era chiuso nel bagno annesso al distributore; stordito dagli effetti dello stupefacente, non apriva neppure ai poliziotti che dovettero buttar giù la porta a spallate.
Interrogato, il trombettista “dichiarava di essere in cura per divezzamento da Palfium e che poco prima si era iniettato una fiala; e si giustificherà dicendo che, “a causa della difficoltà di trovare la vena e dopo essersi bucato in varie parti – si legge sempre nel verbale – , aveva sprecato parecchie fiale che avrebbero dovuto essergli sufficienti fino all’indomani”.
Da un anno Chet abusava di questo farmaco, come lui stesso ammette nel verbale di interrogatorio del 23 luglio 1960 quando si trova nella Clinica di S. Zita per disintossicarsi. Nella sua dichiarazione si legge: “mi trovo ricoverato nella clinica ove mi sono spontaneamente presentato il 17 luglio per sottopormi al trattamento di dissuefazione dal prodotto farmaceutico che ha effetto stupefacente denominato Palfium”, che usava dall’agosto 1959, “perché più rispondente alle mie necessità”.
Nell’interrogatorio, Baker racconta dei suoi soggiorni in Italia, da Milano a Roma, e poi Napoli, Rimini, Firenze e Bologna fino a Viareggio (in Versilia arriva come “suonatore di tromba in una orchestra nel night club la Bussola di Lido Camariore”) e di come, quando era a Milano, era solito rifornirsi del medicinale: “Mi recavo in aereo a Monaco di Baviera, acquistandolo senza ricetta fino a 1000 compresse per volta. Preferivo acquistarlo in comprese perché così potevo dosare a mio piacimento l’iniezione sciogliendola in acqua fino a dieci per volta. Da quando mi trovo in Versilia sono ricorso ai sanitari”.
Chet fa nomi e cognomi dei medici che, gratuitamente o dietro compenso, ignari o complici, gli rilasciavano le ricette: “raccontavo loro di soffrire di dolori fortissimi al trigemino derivanti da un incidente stradale e di aver bisogno del Palfium, perché unico tra i tanti analgesici da me provati che riusciva a procurarmi un certo sollievo. Ad eccezione di qualcuno, non mi sottoponevano a visita medica”.
La sua permanenza a Lucca continuerà per un breve periodo, uscito dal carcere. Nelle carte in mostra all’Archivio di Stato c’è anche la perizia neuropsichiatrica eseguita dal professor Domenico Gherarducci che ricorda di essersi recato “più volte nelle locali carceri per interrogare il periziando”.
Dal verbale si conoscono alcuni dettagli della adolescenza di Baker da lui stesso raccontati allo psichiatra: “nacque – scrive Gherarducci – da un padre musicante fino allora in orchestrine di periferia. In seguito fu costretto a impiegarsi nei più svariati lavori. Si dimostrò sempre molto severo, mentre la madre esageratamente affettuosa”. Chet “cresceva tranquillo ma timido – osserva il medico -, preferiva rimanere solo che giocare con i compagni e si divertiva nel suonare e nel cantare”.