Vaiolo delle scimmie, Barbara Gallavotti: “Non è un nemico sconosciuto come il Covid”
Un virus che non è sconosciuto come il Covid, identificato per la prima volta nel 1958 nelle scimmie, e per cui negli Stati Uniti esiste un vaccino specifico. Per il momento, secondo la biologa Gallavotti, non c’è motivo di parlare di emergenza. E ci spiega perchè
I “confini invisibili” sono quei segni che “non dovremmo mai superare” e che ci separano dagli ambienti selvatici in cui vivono delle specie animali che “possono avere nel loro organismo agenti infettivi in grado di passare all’uomo”. A spiegarlo è Barbara Gallavotti, biologa e divulgatrice scientifica, che proprio di recente ha pubblicato un libro dal titolo ‘Confini invisibili: quello che abbiamo imparato dai microbi e le sfide che ci aspettano’, edito da Mondadori. Già autrice di trasmissioni di successo come ‘Superquark’ e ‘Ulisse’, oltre che conduttrice di ‘Quinta dimensione – Il futuro è già qui’, programma di approfondimento scientifico andato in onda su Rai3, Gallavotti nel corso di una intervista video rilasciata alla Dire ha risposto ad alcune domande di stretta attualità sanitaria: dobbiamo avere paura del vaiolo delle scimmie? È in corso una nuova emergenza internazionale? Potremmo vivere una nuova pandemia dopo quella del Coronavirus? Ma soprattutto, il Covid è stato definitivamente archiviato?
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Dottoressa Gallavotti, fino a poche settimane fa si parlava solo di Covid, oggi invece anche di vaiolo delle scimmie. Allora: la circolazione di virus del genere semplicemente c’è sempre stata, ma oggi la percezione dei media, e quindi anche la nostra, è cambiata o davvero c’è il rischio di una nuova emergenza sanitaria internazionale?
“Al momento di emergenza non se ne parla. Ovviamente si parla di prestare attenzione, perché il vaiolo delle scimmie è un virus ‘nuovo’ ma per noi già conosciuto in precedenza, che si è manifestato in circa un centinaio di casi in diversi Paesi dove normalmente non si trova. Tutto questo produce attenzione da parte delle autorità sanitarie, mentre la nostra attenzione deriva invece dal fatto che si chiama ‘vaiolo’, una parola che evoca paure molto antiche. Però ripeto, questo non è un virus sconosciuto: è stato identificato nel 1958 nelle scimmie, da qui ‘vaiolo delle scimmie’, ma è un nome anche improprio perché in realtà questo virus colpisce le scimmie, gli esseri umani e altre specie. L’animale che lo ospita all’interno del proprio organismo in qualche modo lo conserva e da questo si ripresenta. Non è chiaro quale sia l’animale, si pensa a dei roditori, forse degli scoiattoli delle foreste equatoriali africane. Il primo caso di trasmissione all’uomo è del 1970, quindi è passato abbastanza tempo e c’è già stato un focolaio abbastanza importante di una cinquantina di persone nel 2003 negli Stati Uniti”.
Cosa sappiamo di questo virus?
“Ci sono oggettivamente delle domande aperte su questo particolare fenomeno che sta avvenendo, perché non è facile ricostruire la catena di trasmissione, quindi ricollegarla ad un contagio iniziale chiaro, ad un contatto con un animale infetto o con delle persone che vivono in zone in cui questa malattia circola. Per questo qualcuno ha suggerito che il virus potrebbe essere un pò cambiato e aver acquisito una maggiore capacità di infettare. Questo sarebbe un motivo di allarme, ma per adesso, a cominciare dallo studio del patrimonio genetico emerso fino ad ora e rispetto a tutti i dati a disposizione, questo è un sospetto che non si avvicina neanche lontanamente alla certezza”.
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Al momento le istituzioni sanitarie dicono che non bisogna preoccuparsi, ma lo dicevano inizialmente anche con il Covid. Lei cosa ne pensa?
“È una situazione completamente diversa: con il Covid l’idea che non ci si dovesse preoccupare derivava purtroppo, come ce ne siamo accorti, in buona parte dal fatto che la comunità scientifica non conosceva l’agente infettivo responsabile, per esempio si era totalmente sottostimata la capacità di trasmettere tra persone asintomatiche. Qui abbiamo a che fare invece con un virus che è ben conosciuto, che può essere anche una variante, ma al momento non c’è nessun motivo per pensare che sia diverso dalle varianti di vaiolo delle scimmie circolate in precedenza. Inoltre, si tratta di un agente infettivo contro cui ci sono dei vaccini disponibili, c’è il vaccino contro il vaiolo umano che funziona in maniera soddisfacente anche contro il vaiolo delle scimmie. Negli Stati Uniti esiste ed è stato approvato un vaccino specifico contro il vaiolo delle scimmie. Quindi non siamo nella condizione di avere a che fare con un nemico sconosciuto. E questo fa veramente la differenza”.
Pensa sia probabile o auspicabile una nuova campagna di vaccinazione mondiale contro il vaiolo delle scimmie?
“Non se ne parla minimamente perché i vaccini sono farmaci e i farmaci si prendono solo quando è necessario. Io mi vaccino volentieri quando c’è una utilità, ma se non c’è nessuna indicazione non ha alcun senso pensare di vaccinarsi. Per il momento il numero di casi è molto limitato, buona parte della popolazione è probabilmente protetta dal vaccino contro il vaiolo che abbiamo fatto, gran parte di noi da piccoli, quindi in caso può essere ipotizzabile arginare i focolai, casomai si sviluppassero, vaccinando le persone che sono state a contatto con chi è risultato positivo. C’è una finestra di tempo tra il contatto e la manifestazione dei sintomi in cui questo si può fare”.
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Covid, vaiolo delle scimmie, ma anche peste suina. I prossimi anni saranno caratterizzati dalla presenza di virus come mai in passato?
“Sì, questo purtroppo lo abbiamo visto. L’emergere di questi nuovi o vecchi agenti infettivi è qualcosa che sta diventando sempre più frequente. Nel mio libro li chiamo ‘confini invisibili’, ossia quel segno che non dovremmo mai superare e che ci separa dagli ambienti selvatici dove vivono delle specie che possono avere nel loro organismo degli agenti infettivi in grado di passare a noi. Bisognerebbe evitare di entrare in massa in questi ambienti, cosa che invece stiamo facendo sempre di più, sia per estrarre risorse sia per la nostra pressione di popolazione umana in crescita. E questo ci espone a dei rischi. Ci sono dei programmi di ricerca che mirano proprio a cercare di identificare a priori, prima che facciano il salto di specie e diventino potenzialmente pericolosi, gli agenti infettivi che si annidano negli ambienti selvatici e che potrebbero minacciarci. Sono migliaia. Uno dei ricercatori impegnati in questi studi ha parlato di rendere ‘meno opaca la sfera di cristallo’, giusto per capire cosa vuol dire fare una ricerca del genere”.
Tornando al Covid, è davvero finita l’emergenza? È una malattia che possiamo considerare endemica o dobbiamo aspettarci una nuova ondata con l’arrivo del prossimo inverno?
“Purtroppo il nuovo Coronavirus ci ha insegnato a fare poche previsioni e ad essere pronti a reagire non appena si manifesta qualcosa di nuovo, per esempio una nuova variante. Adesso ci sono vaccini efficaci e c’è anche la possibilità, qualora dovesse emergere una variante diversa, di pensare di adattare i vaccini che stiamo utilizzando per renderli adatti a fronteggiare la nuova variante. Poi ci sono dei farmaci per trattare la malattia se qualcuno si infetta in maniera grave. Quindi chiaramente ci troviamo in una situazione immensamente migliore di quel che abbiamo vissuto due anni fa. Con i microbi, però, bisogna sempre stare attenti e tenere alta la guardia”.
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Servirebbe, secondo lei, un vaccino ‘panvarianti’ contro il Covid?
“Ci sono due elementi: il primo quanto la nostra risposta immunitaria indotta dal vaccino o dall’infezione è in grado di durare nel tempo; il secondo quanto incide la possibilità che il virus si possa presentare con varianti diverse. Il vaccino ‘panvarianti’ è effettivamente qualcosa allo studio dei ricercatori e a cui si sta lavorando. È chiaro che ci aiuterebbe, ma d’altra parte non è solo un problema del Covid, è da anni che si lavora alla ricerca di un vaccino per l’influenza che non debba essere riadattato ogni anno ad una variante”.
Un’ultima domanda: qualcuno ha detto che il Covid, con le nuove varianti, è così contagioso che molto probabilmente ce lo siamo presi tutti anche senza accorgercene. È possibile?
“No, non credo. L’abbiamo preso in molti, quindi chiaramente tra il vaccino e il contagio come popolazione abbiamo una buona protezione. Lo vediamo quando ci confrontiamo con quello che succede in Paesi come la Cina, che hanno seguito la strategia ‘Covid zero’, cioè quella di non far circolare il virus in nessun modo e poi per una serie di motivi, come la mancanza di vaccini efficaci o per problemi nella campagna vaccinale, non hanno una buona copertura per la popolazione, soprattutto tra i più fragili. E lì vediamo veramente che il Covid fa ancora paura. Quindi dobbiamo essere molto grati soprattutto ai vaccini e tutto sommato, con il senno del poi, credo che la strategia seguita in Occidente sia stata la migliore”.