In origine i quesiti presentati erano sei, ma uno è stato dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale. Vediamo in estrema sintesi il loro contenuto.

Primo quesito:

propone di abrogare la cosiddetta “legge Severino” (per la precisione si tratta di un decreto legislativo) che in caso di condanna giudiziaria prevede automaticamente l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali. Per le cariche in enti territoriali la sospensione scatta già dopo la sentenza di primo grado. L’eventuale abrogazione eliminerà l’automatismo e quindi sarà il giudice a decidere volta per volta se applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.

Secondo quesito:

interviene sulle fattispecie per le quali, durante le indagini, il magistrato può disporre la custodia cautelare (in carcere o in altre forme) di una persona investita da gravi indizi di colpevolezza. Perché ciò sia possibile deve sussistere il rischio di fuga o di inquinamento delle prove o, ancora, di reiterazione del reato. Il referendum propone di abrogare quest’ultima fattispecie.

Terzo quesito:

è lunghissimo nella formulazione, ma il suo obiettivo si può sintetizzare così: eliminare la possibilità che un magistrato passi dalla funzione requirente (la cosiddetta “pubblica accusa”) a quella giudicante e viceversa. Detto in altri termini, un pm resterà tale per tutta la sua carriera e non potrà diventare giudice e così pure all’inverso.

Quarto quesito:

punta a consentire anche ad avvocati e professori universitari di partecipare alle delibere sulla valutazione professionale dei magistrati all’interno del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari territoriali. Tali organismi esprimono pareri per le decisioni di competenza del Consiglio superiore della magistratura.

Quinto quesito:

chiede l’abrogazione dell’obbligo del magistrato di raccogliere almeno 25 firme, fino a un massimo di 50, per presentare la propria candidatura al Csm.