MACE assicura: “Il pubblico non è idiota”

MACE assicura: “Il pubblico non è idiota”

 Il dj e producer, tra i più illuminati della scena musicale, racconta “Oltre”, il suo nuovo disco strumentale

Mace

“L’unico modo per fare delle cose veramente interessanti è ascoltare te stesso” a parlare è MACE, dj e producer tra i più illuminati della scena musicale; il riferimento è a “Oltre”, il suo nuovo lavoro, un’opera ricercata, complessa, quasi intellettuale e molto ben fatta. Ma soprattutto un’opera strumentale, il che spiazza chi si aspettava da Simone Benussi, così all’anagrafe, un nuovo album carico di hit, come lo è stato il suo precedente “OBE”.

Serve fiducia per immergersi in questa vasca di suoni, ma crediamo che MACE questa fiducia se la sia guadagnata con un’idea di musica del tutto illuminata che ha portato il pop italiano qualche passo più in là verso il futuro, in barba a chi crede che la contemporaneità musicale sia sinonimo di degenerazione e decadimento, con “Oltre” per esempio le potenzialità del suono, al contrario, vengono celebrate, innalzate.

Qual è la necessità artistica che ti ha spinto a scrivere questo disco?

Ho seguito molto l’istinto, semplicemente era il disco che avevo voglia di fare in questo momento della mia vita. Il 90% delle cose che ascolto a casa sono strumentali, quindi già a priori è più in sintonia con i miei ascolti degli ultimi due anni, comunque volevo sperimentare un approccio del tutto diverso da “OBE”, darmi un po’ la libertà di concepire un album in maniera diversa, volevo premiare l’immaginazione, la sinestesia, fare attivare un’altra area del cervello rispetto a quella che ti si attiva ascoltando una canzone cantata, dove il messaggio è esplicito, qua devi quasi cercarlo dentro di te e seguire le suggestioni che ti evoca la musica.

In un’epoca di musica iperprodotta, iperparlata, questo è un album rivoluzionario…

Sicuramente è una presa di posizione. Ma, sai, ho capito che l’unico modo per fare delle cose veramente interessanti è ascoltare te stesso e non ascoltare gli altri; un quote che riporto sempre è di Rick Rubik e dice: “Il regalo più grande che puoi fare a un’audience, è ignorarla”, perché se fai cose pensando a quello che fanno gli altri o pensando alla tua percezione di quello che è il pubblico e cosa vorrebbe il pubblico, lì puoi fare sicuramente prodotti ben fatti e che funzionano ma saranno difficilmente interessanti, e la mia vocazione è un’altra. Io mi sono detto “In questo momento avrei proprio voglia di ascoltare un disco strumentale che naviga un po’ tra la musica elettronica, l’ambient, momenti riflessivi, momenti molto fisici” e quindi ho fatto di testa mia per l’ennesima volta. Poi è chiaro che è un approccio radicalmente diverso da “OBE” e le mie aspettative sono nulle, io l’ho fatto così perché avevo voglia di farlo così.

Qual è il rapporto che noi uomini abbiamo sviluppato con il suono? Perché se un brano non è accompagnato dalla parola che funge da didascalia sembra che non arrivi…

Be, sicuramente, benché la parola sia più immediata e la voce umana sia più immediata, è anche il primo suono che tendiamo a riconoscere e con il quale ci immedesimiamo, è anche vero che la musica strumentale, col fatto che i messaggi sono più impliciti, devi crearteli da solo, è meno immediata ma possono scaturire legami molto più profondi…

È un rapporto stretto, come quello con la natura…

La natura è ricca di suoni, io sono fermamente convinto che l’uomo abbia cominciato a cantare per emulare gli uccellini, il concetto di melodia ce l’hanno loro. Quando parlo di contemplazione della natura non intendo solo con la vista ma anche con l’udito. Questo gennaio ho viaggiato in Costa Rica, che è uno dei paesi con la più alta biodiversità al mondo, e giuro che sembrava di ascoltare una sinfonia nella foresta, riuscivi a distinguere centinaia di suoni diversi e tutti complessi in maniera diversa, con frequenze diverse…è la natura che ci ha insegnato il suono.

C’è ancora spazio nella discografia per un genere di musica così colta?

Certo, assolutamente, non bisogna mai fare l’errore di trattare il pubblico come se fosse composto da idioti, perché non è vero, c’è molta più gente intelligente e curiosa di quanto i media o gli artisti o gli addetti ai lavori si rendano conto. Il problema è che devi avere anche il coraggio di lanciare dei segnali, ma nel momento in cui li lanci ti rendi conto che c’è molta più gente ricettiva di quanto ti aspettassi.

È chiaro che poi gran parte del mercato è gestita come qualsiasi altro business, si creano prodotti di consumo studiati in maniera diversa, ma questo non vuol dire che non ci sia spazio anche per musica più colta e più impegnata e soprattutto che non esista un pubblico che quelle cose le cerca. Per me questo è un messaggio molto importante, però è anche vero che non condanno chi dopo una lunga giornata di lavoro ha voglia di mettere su una canzone leggera per distrarsi, anziché qualcosa di troppo pesante o interiore, è giusto che esistano tutti gli approcci alla musica.

Dopo il successo di OBE è strano vederti uscire con un disco strumentale, come hanno reagito i tuoi “capi” quando li hai messi al corrente del tuo progetto?

Vuoi la verità? Disponibilità estrema, nemmeno io me l’aspettavo. Ho parlato con il mio management, con la mia etichetta discografica, gli ho detto “Raga, io ho un’idea folle: vorrei fare un disco di musica strumentale e per il primo brano voglio comporre una suite psichedelica di 20 minuti”, che è un po’ come si faceva negli anni ’70, quando potevi riempire il lato intero di un vinile. Loro, invece di rispondermi con un sonoro “vaff…”, mi hanno detto “Oh, che bomba Simo!”. Io sono un artista che si è guadagnato una certa libertà con quello che ho fatto con “OBE” e prima di “OBE”, quindi si fidavano, sapevano che l’avrei fatto con cognizione di causa, chiaramente la mia fiducia me la sono conquistata, ma la mia idea è stata accolta con mega entusiasmo.

Sei fortunato ad avere un team con cui sei così tanto in sintonia…

Sicuramente ho un magnifico team ma innanzitutto mi sono preso la libertà di farlo, anche qualcun altro nei miei panni l’avrebbe potuto fare, se solo l’avesse voluto.

E serve anche esserne in grado…

Ça va sans dire. Ma tutto sta nell’essermi costruito una sorta di credibilità e un grado di libertà. So che c’è una parte di pubblico che voleva un altro “OBE”, c’è un’altra parte di pubblico che voleva altro, io questi brani li sto facendo già dal vivo e le reazioni sono esplosive. Anche se è musica strumentale, anche se non l’hanno mai sentita, le reazioni sono super, chiaramente ogni musica ha il contesto giusto.

Sei tu che hai scoperto BLANCO, sarai orgoglioso di questo percorso enorme che sta facendo, no?

Assolutamente, avendo condiviso un’esperienza così trasformativa come “La canzone nostra”, in un momento della carriera dove alla fine tutti e due ci stavamo affacciando al grande pubblico, dato che pure io, anche se ho lavorato nella musica per anni, l’ho fatto sempre dietro le quinte; quindi è stato un coesordio, quindi mi sento molto legato, quando vedo le immagini di questo tour incredibile che sta facendo, sono super felice, soprattutto perché se lo merita.

Cosa rende speciale BLANCO secondo te?

Quando l’ho conosciuto mi sono accorto che si trattava di una persona pura, che faceva musica per l’urgenza espressiva di fare musica e non l’ho percepito come uno che faceva musica perché voleva arrivare da qualche parte, ma lo faceva perché aveva bisogno di tirare fuori quelle cose; e tutti i miei artisti preferiti hanno quell’urgenza espressiva. Detto questo non mi piace l’espressione “L’ho scoperto io” o “L’ho lanciato io”, penso solo che le nostre traiettorie si sono incrociate al momento giusto, lui è fortissimo e sarebbe esploso comunque, ho solo avuto la fortuna di conoscerlo in uno stadio ancora germinale della sua carriera e aver avuto l’intuizione di aver dato fiducia a un ragazzino così giovane ma con così tanto talento ed essermi imposto per fare uscire il brano con l’artista più sconosciuto che avevo sul disco. agi

Antonio Peragine

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