Referendum giustizia, l’esperto: “Ecco cosa accade se il 12 giugno vince il sì o il no”
“La Corte Costituzionale – spiega il docente – con cinque sentenze di quest’anno, la 56, la 57, la 58, la 59 e la 60, ha dichiarato ammissibili cinque quesiti referendari, che in larga parte riguardano proprio il funzionamento della giustizia in Italia“.
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Il professor Girelli ricorda che “si tratta di un referendum abrogativo, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione. È uno strumento tramite il quale si chiede direttamente alle elettrici o agli elettori se desiderano che una certa norma resti in vigore o se questa norma debba essere abrogata”. “Naturalmente – tiene a precisare il docente – in caso di esito positivo del referendum la norma di legge o di atto avente forza di legge oggetto del quesito viene abrogata”. Girelli spiega poi che “possono votare tutti i cittadini maggiorenni che, muniti di documento di identità e di tessera elettorale, si presentano presso la sezione elettorale indicata sulla tessera elettorale. E domenica gli verranno consegnate cinque schede“.
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Il professore associato di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma rende poi noto che “a promuovere questi referendum sono stati i Consigli regionali di alcune Regioni. La Costituzione prevede infatti che il referendum abrogativo possa essere promosso o direttamente dagli elettori, tramite la raccolta delle firme, o da almeno cinque Consigli regionali”.
LA LEGGE SEVERINO
Ma cosa accade se vince il ‘sì’ o cosa succede se, invece, a vincere è il ‘no’? Distinguendo i singoli quesiti, il professor Federico Girelli sottolinea che “sul primo si chiede di abrogare la cosiddetta ‘Legge Severino’, ovvero un decreto legislativo che stabilisce, adesso, l’incandidabilità alle cariche elettive o a responsabilità di governo per chi è stato condannato per delitti non colposi. Se vince il ‘no’ resta ferma la normativa in vigore e rimane fermo questo effetto automatico per cui, in caso di condanna, scattano queste tipologie di preclusioni. Se, invece, vince il ‘sì’, questa normativa viene abrogata e, quindi, non ci saranno più le preclusioni, ma è rimessa alla prudenza del giudice, in caso di condanna, stabilire eventualmente la interdizione dai pubblici uffici”.
LE MISURE CAUTELARI
Un altro referendum riguarda la possibilità, i presupposti per l’adozione delle misure cautelari, ovvero quegli strumenti adottati prima che venga completato il processo e che sono diretti a limitare la libertà personale dell’indagato o dell’imputato sulla base di questi presupposti. “Ovvero quando c’è pericolo di reiterazione del reato – dichiara Girelli – quando c’è pericolo di fuga, quando c’è pericolo di inquinamento delle prove. Il quesito vuole sopprimere il presupposto relativo alla reiterazione del reato, che non sarebbe dunque più un motivo per adottare questa misura limitatrice della libertà personale che, però, resterebbe ferma in caso di reati molto gravi come, per esempio, reati di criminalità organizzata o condotte di tipo eversivo”.
LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
Sul quesito sulla cosiddetta ‘separazione delle funzioni dei magistrati’ il professor Federico Girelli informa che “adesso in magistratura si può ricoprire sia il ruolo di giudice, sia il ruolo di pubblica accusa, cioè di pubblico ministero. Il quesito chiede agli elettori se vogliano abrogare quelle norme che consentono ai magistrati di passare da una funzione all’altra. C’è infatti chi non si sente pienamente garantito dal fatto che il pubblico ministero che sostiene l’accusa verso di lui è in fondo un collega di chi, invece, giudicherà sul suo destino, mentre dall’altro lato l’idea è che, proprio perché un pubblico ministero è stato anche giudice, può veramente esercitare le sue funzioni avendo in mente la massima garanzia per l’imputato. Se vincesse il ‘sì’ il passaggio tra le due funzioni non sarebbe più così agevole”.
IL GIUDIZIO SUI MAGISTRATI
Poi il passaggio sul quesito che Girelli definisce “un po’ più tecnico per la generalità delle elettrici e degli elettori, volto sostanzialmente ad eliminare quelle norme che escludono gli avvocati e i professori universitari, membri o del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione o dei Consigli giudiziari, da quelle decisioni che questi organismi adottano sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. Allo stato attuale questo tipo di deliberazioni, questa componente laica di questi organi, non si pronuncia. Se vincesse il ‘sì’ verrebbe meno questa deliberazione e, quindi, anche loro potrebbero pronunciarsi sul punto”.
LE CANDIDATURE AL CSM
Infine l’ultimo quesito, quello che incide sulla disciplina della elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. “Se vincesse il ‘sì’ ogni singolo magistrato potrebbe candidarsi al Consiglio superiore della magistratura, senza necessariamente aver bisogno delle sottoscrizioni di altri colleghi che presentano la sua candidatura“, conclude Girelli.