Il no significa no!
Avv. Giovanna Barca – Le Avvocate Italiane
Il 4 giugno il Parlamento della Slovenia ha approvato un emendamento al codice penale in base al quale il sesso senza consenso è stupro.
La Slovenia è solo il tredicesimo paese, dopo Belgio, Croazia, Cipro, Danimarca, Grecia, Germania, Irlanda, Islanda, Regno Unito, Lussemburgo, Malta, che ha approvato una legge sul consenso, che prevede il modello di consenso puro, considerando reato qualsiasi tipo di atto sessuale nel quale manchi il valido consenso della persona offesa. Vuoi come in Germania, dove nella nuova legge sullo stupro del 2016 rimbomba il principio che no significa no, che il solo si es si per la legge spagnola, assolutamente gli Stati Europei non si stanno tirando indietro nella loro lotta contro ogni tipo di violenza contro le donne, modificando le leggi anche in materia di stupro, in piena linea con il principio stabilito dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, secondo cui lo stupro è un “rapporto sessuale senza consenso“. L’articolo 36, paragrafo 2 della Convenzione specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“.
In Italia, le donne fanno fatica a difendere i propri diritti e si trovano di fronte a molteplici ostacoli nell’accesso alla giustizia e ai risarcimenti, essendo ancora tremendamente esistenti stereotipi di genere dannosi, idee sbagliate su violenza sessuale, accuse di colpevolezza, dubbi sulla propria credibilità, sostegno inadeguato e legislazione inefficace.
In Italia, in particolare, come si può leggere in alcune sentenze dei nostri Tribunali, persiste ancora il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita.
Un pregiudizio che trova conferma nel codice penale italiano, dove all’articolo 609-bis, si prevede che il “reato di stupro” sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, o della minaccia o dell’inganno, o dell’abuso di autorità.
Sentenze come quella della Cassazione n. 1636 del 6 novembre 1998, dove se la vittima portava i jeans attillati non poteva esserci stupro in quanto si presumeva che sarebbe servita l’attiva cooperazione della ragazza per poterlo sfilare, o la n. 6329 del 20 gennaio 2006, dove al patrigno che aveva stuprato una ragazzina di 14 anni gli era stata riconosciuta la attenuante perché la vittima non era illibata o la n. 32462 del 19 gennaio 2018, dove non vi era aggravante se la vittima di uno stupro di gruppo aveva bevuto al punto da essere ubriaca di suo punto senza esservi stata costretta, sembravano avere lasciato spazio ad una giustizia più intelligente e sensibile a difesa delle donne. Invece, altra ultima vergognosa sentenza contro la dignità femminile è stata quella emessa dalla Corte di Appello di Torino che ha ribaltato, un giorno fa, la condanna di primo grado emessa per violenza sessuale, perché la vittima, con il suo comportamento, avrebbe indotto l’imputato ad osare. Si parla di un episodio del 2019 che vede coinvolti due giovani.
I ragazzi si conoscevano da tempo, ma il giovane avrebbe abusato dell’amica nel bagno di un locale nel centro di Torino. Secondo i giudici della Corte d’Appello, la ragazza “alterata per un uso smodato di alcol (…) provocò l’avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta”.
L’imputato “non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane”, ma, secondo il giudice della Corte d’appello “nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura”….. “Non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare. Invito che l’uomo non si fece ripetere, ma che poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico”.
La sentenza è stata impugnata in Cassazione dal sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino, sulla base delle dichiarazioni della ragazza durante il processo, “Gli dissi chiaramente non volevo”., sostenendo dunque che “ la Corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale….Illogica appare la sentenza quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso”, dunque, ”non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa, anzi risulta evidente la sussistenza di un dissenso manifesto”.
Sembra essere tornati al passato, al primo processo di stupro nel 1979, quando l’Avvocata Tina Lagostena Bassi si espresse così ““Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna, la vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare una donna venire qui a dire “non è una putt@n@”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa”.
Bisogna che il legislatore italiano riveda la definizione di stupro. Il concetto di stupro è carico di emozioni, è considerato uno dei peggiori crimini, un atto sessuale imposto con la coercizione costituisce effettivamente un reato aggravato e la violazione del diritto all’autodeterminazione sessuale diventa una grave ingiustizia per le donne.
Ed allora, se vogliamo che “Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori!”, dobbiamo alzare la voce e lottare per un cambiamento sia nelle aule del Parlamento che in quelle dei Tribunali!
foto da facebook