Volontariato e recupero della memoria
di Adele Quaranta
L’articolo, già pubblicato su ANXA (Anno XV, 11-12 nov.-dic. 2017, pp. 50-51), viene riproposto a distanza di cinque anni, con l’inserimento di foto inedite, in occasione del 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Donato De Blasi (31 maggio 1972 – 2022), festeggiato domenica 11 giugno 2022 insieme agli amici preti, diaconi, parrocchiani, autorità civili e religiose, con la celebrazione della Messa nella Chiesa Matrice di San Donato di Lecce (LE), dedicata a S. Salvatore (ovvero Cristo Risorto).
Il sacerdote (nativo del luogo) – svolge l’attività pastorale in una comunità di tossicodipendenti ubicata a San Severino Marche (MC) e in Etiopia, dove collabora anche con missionari cappuccini –, il sabato precedente, ha voluto incontrare i componenti (circa 100) dell’Associazione “Amici del Presepe” (da lui istituita), per ribadire l’importanza e la forza del volontariato che può non solo trascinare emotivamente una persona a farsi carico delle emergenze e vicissitudini familiari, ma anche a richiamare l’attenzione delle istituzioni su tanti fronti, perennemente aperti, della giustizia, tra cui quello del rispetto dei diritti degli altri, delle esigenze delle aree povere, dell’emarginazione, della lotta per la legalità, etc., fattori di squilibri e tensioni sociali non solo a livello locale, ma anche in un’ottica più ampia ed in grado di minacciare, persino, la sicurezza di numerosi Paesi.
Altresì per programmare, dopo due anni, la ripresa sia delle attività laboratoriali con i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado, sia, soprattutto, delle manifestazioni correlate al Presepe Vivente, allestito nel giardino del Museo della Civiltà Contadina “Terra di Vigliano”, irrinunciabile appuntamento giunto alla XXVI edizione nel dicembre 2019/gennaio 2020.
La ricorrenza della nascita di Cristo, nell’ultimo biennio, tormentato dalle difficoltà prodotte dalla pandemia, è stata vissuta, infatti, nell’ambito dei nuclei familiari, in maniera silenziosa e profonda, «… senza tante luci sulla Terra, ma con la stella di Betlemme, niente regali, ma con l’umiltà dei pastori alla ricerca della verità, senza grandi banchetti, ma con la presenza di un Dio onnipotente, senza le strade piene di gente, ma con il cuore ardente per Colui che viene, vivendo il Mistero senza paura del Covid-Erode e condividendo, come fece Cristo nella mangiatoia, la nostra povertà, la nostra prova, le nostre lacrime, la nostra angoscia e la nostra condizione di orfani. Ci sarà Natale perché abbiamo bisogno di questa luce divina in mezzo a tante tenebre … » (Padre Javier Loez, sacerdote di Pamplona in Spagna).
A questo articolo seguirà un intervento di don Donato De Blasi, il quale, in occasione del suo 50° anniversario di sacerdozio, racconta la storia della vocazione, maturata attraverso le esperienze vissute e condivise con la comunità sandonatese, ancorata ai valori socio-culturali e spirituali tradizionali, tipici della civiltà contadina (e non solo).
In questo centro abitato (5.477 ab. al 30-06-2022, compresi quelli della frazione di Galugnano), distante 10 km dal capoluogo provinciale, operano ben 14 associazioni di volontariato, tra cui “Amici del Presepe”, fondata e presieduta dal sacerdote. Le radici del sodalizio affondano nella fase iniziale della missione sacerdotale, che risale al lontano 1972, quando, per la prima volta, all’interno della parrocchia, vennero allestite micro rappresentazioni natalizie per rievocare il mistero ed i valori religiosi della natività. L’anno successivo, esse furono spostate nel giardino della chiesa e, in seguito, nel centro storico, grazie all’utilizzazione di vecchie abitazioni messe a disposizione da diverse famiglie locali.
Dall’originale, coinvolgente e attiva partecipazione della comunità – ancora oggi, per alcuni mesi, a titolo gratuito, molte persone prestano la propria opera ed il supporto logistico ai fini della realizzazione dell’evento –, nacque l’idea di convogliare la forza del volontariato in un’associazione impegnata su diversi fronti, tra cui, in primo luogo, quello della solidarietà a largo respiro, allo scopo di attuare, a favore delle missioni etiopiche, diversi progetti rivolti alla trivellazione di pozzi, adozioni a distanza, costruzione di ponti, invio di aiuti alimentari, assistenza sanitaria in strutture ospedaliere mobili, apertura di scuole (anche professionali, per consentire ai nativi l’apprendimento di un mestiere), etc.
In secondo luogo, si rese indispensabile allestire una sede da usare come contenitore espositivo degli oggetti dei nostri avi, cioè di un “museo della civiltà contadina”, che, come un libro aperto, parlasse della cultura e tradizioni locali. Pertanto, s’individuò un’ex casa a corte, che, in quanto, modulo abitativo tipico della famiglia povera contadina salentina, risultava particolarmente adatta a divenire sede museale, per documentare il laborioso lavoro e la dura fatica degli instancabili agricoltori locali. Essi, con le braccia e l’esperienza millenaria, tramandata da padre in figlio (in larga parte oralmente), hanno disegnato, infatti, un paesaggio unico e originale, ben armonizzato sia con l’ambiente naturale, sia con le peculiarità geografico-ambientali, a testimonianza indiretta delle vicende storico-sociali, della lotta per la sopravvivenza, dello sfruttamento, miseria, tensioni per il possesso della terra e gestione dell’acqua (veicolo ancorato a complessi simboli culturali, usi, costumi, tradizioni, valori, principi morali, generi di vita, etc.).
L’iniziativa progettata e realizzata da un gruppo di sandonatesi, si è rivelata particolarmente apprezzabile, perché scaturita dal volontariato e partecipazione della cittadinanza, svincolata dal legame, anche finanziario, con gli enti ed istituzioni pubblici locali. Grazie anche alla guida e stima di don Donato De Blasi, i cittadini di questo piccolo centro urbano del Salento leccese, sono approdati alla realizzazione del Museo della Civiltà Contadina “Terra di Vigliano”.
La struttura è scaturita non solo dalla disponibilità e competenza di tante generose persone, le quali hanno donato i loro oggetti-ricordo di famiglia e continuano ad offrire, gratuitamente, il loro impegno per il bene comune, ma altresì dal lavoro prezioso dei tecnici che hanno lavorato sulle carte destinate a vari uffici comunali; dal paziente lavoro di catalogazione e pulizie; dalla disponibilità delle competenze di architetti, studiosi e collaboratori vari, etc.
Aperta al pubblico il 5 dicembre 2015, è, inoltre, la “Biblioteca Giovanni De Blasi”, percepita non solo come luogo da visitare, ma soprattutto come struttura viva, vitale e aperta alla progettazione del futuro, grazie ai rapporti instaurati con studiosi, diversi sodalizi e scuole, nonché varie attività, anche laboratoriali, che si svolgono durante l’anno, come Corsi di fotografia e di pittura, Rassegne fotografiche, Presentazione di libri, Mostra del segnalibro, etc.
“Il museo – ha dichiarato don Donato De Blasi – non è una realtà compiuta, ma un libro aperto (destinato ad arricchirsi di altri capitoli) per i nostri figli che vanno a scuola col computer, sanno usare la penna ma non conoscono più l’aratro. Il vomere entra nella terra e la sconvolge per portarla alla luce del sole; la penna con la sua punta entra nella coscienza alla ricerca della verità”.
Grazie a questa lettura, diffusa tra la comunità dal sacerdote, nel giorno dell’inaugurazione (31 luglio 2011) del Museo della Civiltà Contadina “Terra di Vigliano” – dall’antico nome del centro abitato, risalente al periodo romano ed alla nascita del casale omonimo, derivato dal centurione Vilius, assegnatario del territorio –, l’associazione col tempo ha ampliato i contenuti e finalità, puntando sul supporto di insegnanti e cittadini esperti, per stimolare i destinatari (soprattutto gli alunni della Scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di I e II grado) a visitare la struttura, conoscere gli oggetti utilizzati dai braccianti ed artigiani del passato, assistere ad alcune fasi lavorative e comprendere il ruolo svolto sia dal falegname, muratore, calzolaio, costruttore di scope, scalpellino e fabbro, sia dal contadino (nel suo rapporto con l’ambiente e l’organizzazione territoriale) e dalla donna, la quale, costretta dai costumi dell’epoca, non solo si dedicava alle faccende domestiche, alla filatura, tessitura, ricamo e rammendatura, ma altresì rappresentava il principale punto di riferimento a livello familiare e nell’ambito dell’educazione dei figli.
In armonia con la programmazione scolastica, i temi della didattica e l’azione socio-educativa del formatore, in un’ottica interdisciplinare, i volontari sono impegnati, pertanto, in attività laboratoriali, basate sulla manualità e sul gioco, al fine di integrare il curricolo di base e favorire la crescita umana e culturale dei giovani alunni, il consolidamento dei valori etici e la formazione di una nuova coscienza sociale.
Per citarne solo alcune, si ricordano la partecipazione – con dolci tipici di questo centro abitato nel periodo pasquale – ad un concorso nazionale (“Crea una ricetta con il latte”) promosso da una nota azienda italiana, le “botteghe artigiane”, l’allestimento del “Presepe” a Natale con materiali naturali (a volte anche di risulta), la “pentolaccia” e lu cannarutu (durante il carnevale un uovo sodo, privato del guscio, veniva legato con un filo e fatto penzolare davanti alla bocca di un ragazzo, finché non veniva addentato), il “ciclo dell’acqua”, etc.
Tra le attività extra scolastiche praticate, va annoverato, inoltre, l’allestimento di laboratori didattici – tra cui quelli artistico-manuali (alla mescia) per l’apprendimento dei lavori all’uncinetto, lana e ricamo, realizzazione di prodotti di cesteria, etc. –, volti a scoprire le proprie radici, rafforzare le identità mediante il recupero della manualità, creatività e tradizione, nonché a stimolare la riflessione sul passato, tra continuità e cambiamento.
Infine, il percorso sul “modo di vivere” (sia lavorativo che ludico) dei tempi andati, articolato in quattro fasi: la pigiatura del vino, la molitura delle olive, li maci (le maschere) con abiti recuperati in casa, i “giochi di una volta” (quando se sciucava cu nienti). Si tratta di attività ormai quasi completamente scomparse, anche se continuano a sopravvivere nella memoria degli anziani.
Giochi e giocattoli risalgono alla notte dei tempi. I bambini probabilmente si divertivano utilizzando sassolini, conchiglie e bastoni, i birilli erano conosciuti già nel IV millennio a.C., nelle isole di Creta e a Cipro i giochi da tavolo risalgono a 3.000 anni fa, le prime bambole di legno, stoffa e terracotta venivano dipinte e adornate con osso e avorio a partire dal II millennio a.C., etc. Nella società greca la fruizione dello svago era legata all’uso della palla, trottola, cerchio, altalena, arco, corsa, tiro alla fune, mentre a Roma i ragazzi passavano il tempo con pari o dispari, testa o croce, mosca cieca, nascondino, girotondo, corda, trottola, astragali, carretti in miniatura trainati da topi, etc.
I reperti archeologici rinvenuti hanno evidenziato la presenza, in tutte le civiltà antiche, di attrezzi di giocoleria molto simili a quelli attuali, come, ad esempio, sonagli, poppatoi, cerchi, marionette, animali di legno, rocchetti utilizzati come lo yo-yo, carrettini a più ruote, etc. Nel Medioevo, entrambi i sessi usavano indistintamente balocchi e palla, mentre giocattoli e bambole erano costruiti in casa con mezzi di fortuna. Si ricorreva al gioco, inoltre, per influenzare il destino e individuare la classe sociale dei partecipanti. Nella seconda metà del ‘700 furono realizzati i primi pupazzi azionati meccanicamente, mentre, nel secolo successivo, si diffusero (soprattutto in Germania, Inghilterra e Francia) le prime industrie del giocattolo e, dopo il secondo conflitto mondiale, vennero impiegati nuovi materiali, come celluloide e plastica, per potenziare il promettente comparto ludico.
Fino a tempi abbastanza recenti, presso le comunità agro-pastorali, le strade, le piazze dei paesi, i cortili e le aie costituivano il “teatro” della vita, dove i giochi venivano costruiti con mezzi di fortuna o materiali di scarto, utilizzando pietre, corde, manici di scopa, fili di ferro, elastici, legno di risulta di varie dimensioni, rocchetti di filo da cucito, foglie essiccate, conchiglie, cassette della frutta, etc., che testimoniano, oltre all’abilità manuale, pure il rispetto delle regole, la sperimentazione di nuove forme di aggregazione, ingegno e creatività dei fanciulli delle passate generazioni.
Il gioco diventava, pertanto, un eccezionale mezzo di integrazione aperto a tutti (ancora oggi – come nel passato – non importa essere grassi o magri, alti o bassi, belli o brutti, dalla pelle scura o chiara), dove ognuno si divertiva realizzando bambole di stoffa, monopattini, fionde, carri con cuscinetti a sfera e fucili di legno, a volte modificando anche il giocattolo a seconda delle proprie esigenze e maestria, oppure imitando gli oggetti degli adulti e apportando variazioni significative a carriole, carretti, trenini, barchette, cavalli a dondolo, girandole, aquiloni sostenuti da telai di canne, utilizzate anche nella preparazione di fischietti e cerbottane.
In questo modo, l’attività ludica contribuiva, in modo significativo, alla stimolazione dell’inventiva, curiosità, manualità, fantasia, movimento fisico, comunicazione e socializzazione. Rilevante erano considerati, inoltre, l’appartenenza al gruppo, la competizione ed il piacere di mettersi alla prova per superare le difficoltà.
Oggi, purtroppo, del passato ludico non è rimasto nulla a causa dell’aumento del benessere: non si gioca sui sagrati e piazzali antistanti alle chiese o nelle corti, ma solo nelle proprie abitazioni, dove i ragazzi sono attratti dalle nuove tecnologie che li relegano in spazi angusti, li isolano e circoscrivono in un mondo egoistico ed egocentrico, a volte fantasioso.
Le attività con finalità ricreative ed educative – come la campana, la palla, salto con la corda, trottola, cinque pietre, girotondo, pari e dispari, nascondino, etc. – costituiscono, invece, sia un momento per stare bene insieme, sia uno stimolo molto importante ai fini della socializzazione e superamento dell’individualismo, solitudine, consumismo e asservimento tecnologico, tipici della società attuale.
Con l’espletamento di mansioni laboratoriali e rivisitazione dei giochi di un tempo nel museo sandonatese, nonché con l’osservazione e la pratica diretta, il ragazzo percepisce, pertanto, la struttura non solo come semplice contenitore espositivo di attrezzi, ma soprattutto come centro vivo e vitale da sperimentare, diventando attore in una realtà diversa dall’attuale, stimolato dai materiali esposti e dalla semplicità dei giochi, come emerge anche dal corredo fotografico allegato, realizzato dalla scrivente.
Al contempo, attraverso la divulgazione e recitazione di poesie dialettali, il racconto e l’ascolto di filastrocche, canti e nenie, credenze e tradizioni, intercalate con aneddoti e locuzioni proverbiali tipici della saggezza popolare, viene rivissuto un mondo magico ancora custodito, ma dimenticato dalle nuove generazioni, a causa dell’invadente e preoccupante processo di globalizzazione e omologazione prodotto dai mass media.
In tal modo, l’attività didattica si trasforma in un efficace strumento sia per conoscere i paesaggi naturali ed antropici, sia per comunicare, coinvolgendo gli studenti e rendendoli protagonisti nella costruzione delle singole identità, attraverso quella voglia incontenibile di puro divertimento.
Estremizzando, “niente di più” che un “insostenibile leggerezza dell’essere”, romanzo di Milan Kundera – scrittore, saggista, poeta e drammaturgo ceco, naturalizzato francese – scritto nel 1982 e pubblicato, per la prima volta, in Francia nel 1984. Il titolo del romanzo è legato alla trasmissione televisiva “Quelle della notte” (del 1985), condotta da Renzo Arbore, in cui il lookologo, interpretato da Roberto D’Agostino, dissertava sulla società coniando l’espressione edonismo reaganiano – cioè il desiderio consumistico di vivere bene, senza farsi troppi scrupoli, sfruttando a proprio favore le disuguaglianze insite nel sistema liberista e capitalistico – e citando come tormentone il titolo dell’opera letteraria.
Anche Antonello Venditti, nel 1986, ha composto il brano “Questa insostenibile leggerezza dell’essere” incluso nell’album “Venditti e segreti”, dove, viene nominato anche Milan Kundera, mentre, il fisico statunitense Frank Wilczek ha preso spunto dal componimento kunderiano per intitolare un suo libro, ossia: “La leggerezza dell’essere. La massa, l’etere e l’unificazione delle forze”.
Per concludere, il Museo della Civiltà Contadina “Terra di Vigliano” di San Donato di Lecce, si propone non solo di salvaguardare e valorizzare le antiche tradizioni e memorie della cultura salentina, legate al mondo contadino e alla sfera artigianale, ma altresì di svolgere il ruolo di contenitore di testimonianze, tramandate da padre in figlio, scaturite da complesse azioni millenarie e molteplici relazioni trasversali.
L’esposizione dei reperti – confluiti con donazioni di attrezzi ormai in disuso, provenienti da privati e botteghe artigianali (preziosi “lasciti” e basilari elementi distintivi inseriti in una realtà globalizzata) – permette, dunque, sia di ripercorrere i ritmi millenari del tempo e scoprire gli antichi mestieri ed ambienti tipici della società, sia di offrire, alle giovani generazioni, uno strumento in più per riflettere sul passato, conoscerlo, amarlo e confrontarlo con il presente nell’ottica della progettazione del futuro.
Allestita dai volontari, la struttura museale costituisce, quindi, un indispensabile ed interessante “archivio della memoria” ai fini della salvaguardia, tutela e valorizzazione delle “eredità” della società contadina, ormai quasi completamente scomparsa, oltre che svolgere il ruolo di “centro” di accoglienza, generosità, amicizia, creatività e laboriosità, in quanto, il recupero dei giochi tradizionali consente la riscoperta delle origini, della storia locale, del senso di appartenenza e, soprattutto, della identità culturale.
Altresì, diventa un veicolo in grado di esprimere sia il mutamento dei processi di sviluppo e di adattamento alle nuove sfide che la società pone, sia la rivitalizzazione anche dell’antico borgo – pur circoscritto alla fugacità di brevi periodi –, con ricadute positive, in termini economici, sulla comunità locale, grazie a quanti offrono gratuitamente, al prossimo, in nome della solidarietà ad ampio respiro, il proprio lavoro e tempo libero.