Verso il voto. Occorre il buon senso popolare che sino ad oggi è mancato
Finalmente faremo anche noi una campagna elettorale d tutta “balneare con bikini, borse con il ghiaccio, sdraio e ombrellone, creme per tutto il corpo. Non c’è però diciamoci la verità da stare proprio tanto allegri e gongolanti. Sarà pure una campagna elettorale balneare, accalorata ma niente affatto da prendere così alla leggera da trasformare i nostri consensi (e dissensi) in sabbia su cui non si può costruire nulla di buono. Il voto politico generale del 25 settembre – il primo d’autunno dal 1919 – è importante come ogni altro, forse anche un po’ di più.
Agli elettori ed elettrici, infatti, toccherà mettere in campo, anzi nelle urne, un bel po’ di quel senso di responsabilità (e dei doveri e beni comuni…) che all’Italia serve come il pane (e l’energia, e i figli, e la pace…), ma che non tutte le forze politiche protagoniste della XVIII Legislatura repubblicana hanno dimostrato. Di certo non hanno esercitato questo buon senso popolare quelle forze – M5s, Lega e Fi – che hanno prima impastoiato e poi affossato il governo Draghi e l’«agenda Mattarella» che liberamente un anno e mezzo fa avevano, invece, accettato di sostenere e attuare, rispondendo al pressante appello del presidente della Repubblica di fronte alla triplice sfida della pandemia, della ricostruzione economico-sociale e infrastrutturale del Paese e della sua transizione ecologica. Atto tanto più serio e grave, il fuggi fuggi dal “governo della responsabilità” a cui abbiamo assistito, e che non è un’opinione ma un evento accaduto sotto gli occhi del Paese, perché è stato compiuto, anzi fatto esplodere, non per una presa di distanze su questioni di capitale rilevanza, ma per calcoli e interessi di fazione e di schieramento.
Non dunque, tanto per fare due esempi per nulla casuali, sulla postura politica e la cobelligeranza di fatto anche dell’Italia nella terribile guerra russo-ucraina riaccesa dall’invasione ordinata da Putin giusto cinque mesi fa oppure sulla necessarissima transizione energetica ed ecologica tenuta al palo, bensì agitando o sussurrando pretesti per nulla commendevoli e con la testa più ai sondaggi che ai disagi e alle sofferenze materiali e morali degli italiani. A meno che il pur non irrilevante braccio di ferro pubblico sul termovalorizzatore di Roma o quello, più nascosto, sull’ennesima pretesa di rottamare un po’ di debiti con lo Stato (e con i concittadini-contribuenti leali e onesti) degli evasori fiscali non debbano essere considerati orizzonti politici di primaria grandezza e di decisiva valenza ideale e strategica…
Tocca perciò a noi elettori ed elettrici, se sapremo e vorremo, rimettere in equilibrio il quadro fatto cadere e reso sempre più sbilenco, riaprire il cantiere interrotto e persino ritrovare la strada della pace in troppi modi perduta. E possiamo riuscire a farlo nonostante un’offerta politico-programmatica che si annuncia disorientante. Nell’area definita progressista, il «campo largo» pensato da Enrico Letta era un obiettivo ed è diventato un bersaglio, fatto a pezzi dalle schegge delle ripetute esplosioni dei 5stelle, ma incrinato anche dalle pronunciate ambizioni di autonomia di un centro liberal e, forse, neopopolare nonché dallo scontento di non marginali settori di opinione alla sinistra del Pd.
E senza questo doppio ancoraggio il campo non sarebbe solo stretto, ma asfittico. Sul fronte opposto, dopo aver licenziato con Draghi un pezzo della sua stessa Forza Italia e aver rispolverato argomenti e promesse che ci fanno tornare a inizio secolo, Silvio Berlusconi si sta assumendo in prima persona il compito di dissimulare la definitiva trasformazione del centrodestra in destra-centro. Non sarà facile neanche per lui riuscirci. Nello schieramento che i sondaggi danno per favorito, la lotta per la supremazia ingaggiata dalle due destre, dalla super-oppositrice e aspirante premier Giorgia Meloni e dal due volte governativo e due volte crisaiolo Matteo Salvini, promette piuttosto di rafforzare mutazione e polarizzazione.
E questo nonostante la crescente complessità (e non piena omogeneità) dei corpi politici e, prima ancora, elettorali di Fdi e Lega. Un quadro complesso e complicato nel quale sarà difficile districarsi. E anche allarmante. Allo stato delle cose nessuno può esattamente prevedere l’effetto che avrà la legge elettorale vigente (tre quarti di proporzionale e un quarto di maggioritario) su Camere così fortemente dimagrite in seggi per la riforma grillina imposta dal M5s prima alla Lega e poi al Pd. Potremmo ritrovarci senza maggioranze parlamentari omogenee (come nel 2018 e prima ancora nel 2013) oppure con la prevalenza (e persino la “dittatura”) di una minoranza che potrebbe ricevere in dote, grazie all’effetto Rosatellum, forze parlamentari sufficienti per cambiare in solitudine la Costituzione.
Meglio non pensarci neanche. Tocca ai cittadini cercare di usare al meglio la legge che c’è e di imporre la responsabilità, che ad oggi è fin troppo mancata, e il coraggio di mettere al primo posto non gli slogan suggestivi o urticanti, ma la vita delle persone e la civile e competente costruzione di un’Italia più giusta, inclusiva e sostenibile che vogliamo per noi e per la prossima generazione. Un buon senso popolare e una sufficiente dose di coraggio che non devono continuare a mancare e che non autorizzano astensioni. Sarebbe il fallimento definitivo della democrazia con tutte le pericolose conseguenze che ne potrebbero derivare.
Giacomo Marcario