Come fu svegliarsi a Parigi il giorno della morte di Lady Diana
Il ricordo di chi, il 31 agosto del 1997, era studentessa alla Sorbona. Una giornata di incredulità, la processione verso il luogo della sciagura, la tristezza di una città che poi, nei successivi 20 anni, tornerà a soffrire ancora
Parigi, 31 agosto 1997. Un risveglio carico di stupore, tristezza e senso di smarrimento, come se fosse venuta a mancare una persona cara, un membro della famiglia, un’amica che conosci dall’infanzia. Nel mio monolocale di Rue de la Sorbonne, di fronte alla blasonata università dove studio storia, da ‘nizzarda’ trasferitami nella Ville Lumière, al primo tg del mattino in radio rimbomba una terribile notizia che mi lascia incredula.
“La principessa Diana è deceduta a Parigi, alle ore 4:25 all’ospedale Pitié Salpêtrière, per un’emorragia interna provocata dalla rottura di una vena polmonare. Ieri sera, alle 00:26 è stata coinvolta in un tragico incidente, nel tunnel sotto al ponte dell’Alma, causa di diversi arresti cardiaci. Sono morti il compagno, il miliardario egiziano Dodi Al-Fayed, e l’autista Henri Paul. In coma la guardia del corpo Trevor Rees Jones”.
La sintetica cronaca mi gela il sangue e sento un tonfo al cuore, pensando che è successo tutto a pochi chilometri da casa, mentre già dormivo. Nella mia testa si affollano pensieri e considerazioni che volevo subito condividere con qualcuno. “Povera, aveva solo 36 anni, lascia due figli che sentiranno la sua mancanza” mi sono detta, chiedendomi perché la morte ha portato via proprio lei, così bella, elegante, amata in tutto il mondo per il suo impegno socio-umanitario. Subito dopo, in qualche modo realizzo che è accaduto nel preciso momento in cui la principessa triste e tormentata sembrava avercela fatta ad emanciparsi dal peso delle convenzioni della corona britannica, un anno soltanto dopo il divorzio dal marito, il principe Carlo.
Mi preparo in fretta e furia per andare a prendere il solito caffè ‘noisette’ al bar sotto casa, punto di ritrovo con i colleghi dell’università, tutti storici, filosofi e linguisti. Di sicuro ci sarà già qualcuno con cui confrontarmi, con cui scambiare idee ed emozioni. In quell’istante ho anche preso coscienza del fatto che stavo vivendo un fatto storico di cui si sarebbe parlato a lungo, non solo Oltremanica. In tv e alla radio tutti i soliti programmi vengono immediatamente interrotti per rilanciare immagini d’archivio di Lady Diana assieme ai primi reportage e testimonianze in diretta dalla Place dell’Alma.
Quella mattina il primo caffè ha decisamente tutt’altro sapore, davvero amaro, e Danielle, la titolare del locale, ha come me la faccia sconvolta e gli occhi lucidi. Per oggi niente croissant, lo stomaco è del tutto chiuso, così come le bocche sui volti dei presenti, e al posto del solito chiasso il locale è carico di silenzi. Con Juliette, Cécile, Guillaume, Geoffroy ed altri amici più stretti decidiamo di provare a raggiungere il luogo della sciagura, in una sorta di processione silenziosa. Altri colleghi di università rimasti a casa ricevono invece chiamate da amici che in quel periodo studiavano a Londra, dove, sotto un cielo plumbeo, la vita si è interrotta all’istante.
Decine di migliaia di persone raggiungono i palazzi reali di Buckingham e Kensington – residenza della principessa – con fiori, candele e peluche in omaggio a colei che, l’allora premier laburista Tony Blair definisce con voce singhiozzante “la principessa del popolo”. Un lutto che in poche ore unisce nazioni e cittadini di tutto il mondo, formando una grande catena umana animata da sentimenti simili e condivisi.
Dalla Casa Bianca il presidente statunitense Bill Clinton si dice “profondamente rattristato”, mentre in India Madre Teresa di Calcutta prega per la defunta e morirà soli pochi giorni dopo Lady Diana, il 5 settembre. Affranto, Michael Jackson cancella il suo imminente concerto in Belgio.
Mentre nel tunnel sono in corso i rilievi della brigata della polizia criminale, in Place dell’Alma in parte transennata, la commozione è molto forte ed è accompagnata da un senso di smarrimento, da una sensazione di vuoto per la perdita di quella che sarebbe destinata a diventare un’icona, ma che forse lo era già in quel momento. Nel pomeriggio di questa estate 1997 finita prematuramente per la morte improvvisa di Diana Spencer, in edicola compriamo tutti i quotidiani che divoriamo fino a sera, tutti seduti in cerchio nel Giardino del Lussemburgo.
I paparazzi sono i primi ad essere accusati e lo stesso fratello di Diana, Charles Spencer, infierisce dicendo che “i giornali hanno sangue sulle mani”. Con la coscienza palesemente sporca, i tabloid britannici elevano subito Diana al rango di icona. “E’ nata lady. E’ diventata la nostra principessa. La sua morte fa di lei una santa” titola The Daily Mirror.
Nei giorni seguenti, parigini, francesi e turisti di ogni provenienza affluiscono sul luogo del dramma per rendere un personale omaggio a Lady D., animati sicuramente come me, come noi, dal sentimento di un mondo ormai orfano di una grande donna. Beffa del destino, portata via dalla morte proprio a Parigi, una delle città più romantiche al mondo dopo una felice vacanza a Saint-Tropez con il ‘suo’ Dodi, mentre sembrava apprestarsi a scrivere una nuova pagina della sua vita.
Londra e Parigi non sono quasi mai state così vicine, avvolte in una fitta nebbia di cordoglio e raccoglimento fino al triste giorno dei funerali di Diana, celebrati il 6 settembre a Westminster, in presenza di 2 mila invitati, di cui molte celebrità. Con amici e colleghi della Sorbona ricordo che abbiamo seguito in diretta su ‘France 2’ la solenne cerimonia, tutti riuniti nel baretto di Danielle, una seconda casa per molti di noi non parigini ‘Doc’.
In tutto nel mondo siamo stati in 2,5 miliardi ad assistere all’evento, commossi alla vista dei piccoli principi orfani, William e Harry. A fare da colonna sonora la voce vibrante di Elton John che interpreta “Candle in the wind”, originariamente dedicata a Marilyn Monroe, di cui ha adattato le parole per Lady D., seppellita poco dopo in presenza di pochi intimi a Althorp, a Nord-Ovest di Londra.
Da subito furono tante le domande, anche tra noi studenti universitari, molti dei quali fuori sede e stabiliti nella capitale francese dove in qualche modo ora si sentivano al centro dell’informazione, della Storia, quella con la S maiuscola.
A distanza di 25 anni, nella data di un anniversario simbolico, mentre la monarchia britannica è sempre più traballante per le ultime travagliate vicende famigliari, tra cui il ‘divorzio’ del principe Harry e Meghan dalla corona e la morte di Filippo di Edimburgo, deceduto il 9 aprile 2021, oltre ad essere reduce della Brexit e delle clamorose dimissioni del premier Boris Johnson, da giornalista mi trovo a scrivere di quel fatto che il 31 agosto 1997 ha segnato la Storia. Un esercizio difficile quello di riesumare i miei ricordi ma che, sorprendentemente, riaffiorano nitidi come se tutto fosse accaduto ieri, o quasi. Inaspettatamente la dimensione spazio-tempo della memoria e della narrazione si azzera.
In realtà, a pensarci bene, non è successo solo in occasione della morte di Diana. Mio malgrado mi sono ritrovata a vivere altri fatti clou degli ultimi 20 anni, proprio mentre mi trovavo in quella che considero tutt’ora la mia città: Parigi. Tra questi mi viene in mente il crollo delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001, quando ero in viaggio da Nizza con un volo diretto a Charles De Gaulle e l’incendio della cattedrale Notre Dame il 15 aprile 2019, mentre decollavo dall’aeroporto parigino per rientrare a Roma. Senza dimenticare tutte quelle volte in cui Parigi è stata colpita al cuore dalle barbarie del terrorismo jihadista.
AGI