La ‘guerra’ di Zaki: “Rendere virali come me i tanti detenuti per i diritti”
“Non ho mai smesso di credere nella possibilità di lottare per la giustizia e le idee, di risollevarmi e questo mi ha certamente sostenuto per andare avanti. Lo credo tutt’oggi”, dice Patrick
“Sono sempre stato convinto della necessità di difendere i diritti e questa consapevolezza mi ha sempre sorretto, anche se chi mi tenevain carcere ha tentato di spegnere questa urgenza. E’ stato importante rendere la mia storia virale, bisogna continuare a farlo ovunque vi siano persone private della libertà per avere espresso idee e difeso diritti”.
Recentissima l’ennesima tegola: udienza rinviata al 29 novembre e ancora uno stop giudiziario per lo studente egiziano dell’Università di Bologna, accusato di diffusione di notizie false, detenuto per 22 mesi e adesso fuori dal carcere, ma costretto a restare Egitto in attesa di giudizio.
“In cella – ha detto Zaki – non potevo fare nulla, era minuscola. Poi ho capito che dovevo reagire, tenermi attivo, in qualche modo vivo. Ho fatto per un’ora al giorno movimento, per esempio camminando, qualche esercizio, con altri detenuti abbiamo costruito una sorta di palla e abbiamo cominciato a giocare… qualunque cosa per restare in movimento.
Ha spiegato che in carcere “si impara a dare valore a qualsiasi cosa, anche la più piccola. Anche ciò che di semplice arrivava dai miei familiari mi dava forza. Me la dava anche la speranza di tornare alla mia vita: mi mancava e mi manca, a esempio, il luogo dove si andava a mangiare insieme agli amici a Bologna, dove spero di tornare presto”.
E ancora: “Sono molto grato alle persone che mi hanno pensato in Italia e nel mondo e che hanno pregato per me. I diritti vengono calpestati in tante, troppo parti del mondo, e sono calpestati per legge. Occorre sentire la responsabilità di monitorare queste situazioni e di agire”. E “devo essere grato ai mezzi di comunicazione, che hanno resa nota la mia situazione, mi hanno reso… virale. Dobbiamo fare sapere quanti sono in prigione per reati di opinione, di espressione. I mezzi di comunicazione devono impegnarsi a fondo”.
Patrick ha poi affidato alla platea molto attanta e partecipe il suo più grande auspicio: “Quando calerà l’attenzione sulla mia storia vorrà dire che sarò tornato alle mie ricerche ai miei studi, al mio lavoro, alla mia vita… e questo spero avvenga presto. Ho sentito la presenza dei giovani, dei ragazzi in tutto questo tempo: credo molto in loro, ho apprezzato questo loro starmi vicini, di farmi sentire in mezzo a loro e ciò mi spinge a essere con loro e a sostenerli nei loro sogni e desideri”.
“Ho capito subito – ha continuato il suo racconto Zaki – che il mio arresto era collegato a quello che avevo scritto sui cristiani copti per un quotidiano online libanese contro il governo egiziano”, ma “non ho mai pensato che avessi sbagliato ad affermare quello che ho scritto, ho espresso la mia opinione, anche se l’oppressione del carcere mi ha fatto stare male. Non ho mai smesso di credere nella possibilità di portare avanti la sensibilizzazione dei diritti umani, di risollevarmi e questo mi ha certamente sostenuto per andare avanti. Lo credo tutt’oggi”.
E ha assicurato di sentirsi ancora “molto connesso all’Egitto: qui sono nato e amo il mio Paese”, però “voglio tornare in Italia quanto prima perché posso esprimere la mia opinione, posso continuare il mio lavoro dei diritti umani e religiosi. Voglio sentirmi in un ambiente dove ci sia libertà di espressione senza il timore di essere incarcerato. Penso che dovremo lavorare di più in questo campo e fare di più per il rispetto dei diritti umani ovunque, dovunque e sempre. È una battaglia che continua”.
AGI