Figli dell’umana violenza
di Romina G. Bottino
Ogni giorno la cronaca riporta notizie di violenze subite da donne o di “femminicidi”, quest’anno in Italia sono state assassinate ancora una volta troppe donne e nella maggior parte dei casi l’assassino è il marito o il compagno. Le violenze consumate e subite nelle mura domestiche spesso restano ignote alle forze dell’ordine perché molte donne non riescono psicologicamente a liberarsi da un rapporto malato e dal loro ruolo di vittima. I numeri delle donne uccise ogni anno ci dicono che siamo davanti ad una vera e propria emergenza sociale che non può essere solo giudicata e condannata, ma va analizzata, compresa e valutata per poter poi affrontare il problema con gli opportuni strumenti educativi, affettivi , psicologici. L’omicida appartiene alla nostra società!
Perciò è necessario che questa nostra società si interroghi sul perché di tanta violenza nelle famiglie e nella coppia, è troppo facile e semplicistico liquidare e condannare con frasi ad effetto atti criminosi di tal genere, che sono diventati quasi quotidiani. Occorre una interpretazione psicosociale del crimine per scandagliarne le cause e trovare i possibili rimedi e le possibili soluzioni sociali . La nostra società è molto cambiata in questi ultimi decenni, sono stati offerti, soprattutto dai mass media, dal cinema e dalla rete, nuovi modelli comportamentali e di vita superficiali che deresponsabilizzano adolescenti, adulti e genitori in nome di un esasperato individualismo ed egoismo, rappresentato da una sorta di società liquida, profondamente materialista, dove ogni rapporto umano viene presentato come insopportabile cappio alla propria libertà personale. La natura dell’essere umano da sempre si realizza nel rapporto con l’altro, nella condivisione e nell’amore, in un vissuto quotidiano che dà senso all’esistere e crea radici.
Sono le donne che partoriscono e crescono i loro figli e sono proprio loro che per prime si devono impegnare a formare dando tempo, pane, amore, istillando il rispetto e la cura verso chi può apparire più debole; la prima e determinante parola è delle madri di questi uomini, anche figli dell’umana violenza. Un disagio agito, continuato lascia l’individuo a metà soprattutto se nella sua vita non ha sperimentato attaccamenti ed emozioni, o li ha sperimentati in maniera evitante ed escludente, o peggio ha sperimentato mortificazioni e violenza. In una simile situazione e senza modelli o punti di riferimento sicuri spesso alcune situazioni conducono verso una scelta involutiva, criminosa e deviante. In tutti questi casi la società è chiamata in causa con il suo fallimento pedagogico, psicologico, educativo e per la sua disattenzione totale verso le istanze di coloro che non hanno sperimentato emozioni vere, attaccamento sincero sia paterno che materno.
Accade così che il crimine diventa un modo per affermare la propria forza, la propria presenza. La società, intesa come gruppo istituzionalmente ordinato, sbaglia nella mancata risposta alle domande di chi si trova in precario equilibrio psicologico e sociale . Eppure i segnali ci sono, come le molte denunce di donne, ma nessun organismo prende in cura il violento o cerca di comprenderne le dinamiche psico-affettive, né si impone una terapia di coppia là dove si potrebbe recuperare il rapporto, ci si limita solo a ricercare elementi di accusa fra i mille cavilli dei difensori. Le situazioni vanno avanti , si incancreniscono e degenerano nell’indifferenza generale. Un problema cosi grave e diffuso deve essere affrontato con specifiche azioni su tutto il territorio nazionale. Il codice rosso dovrebbe essere rivisto così come l’operato della magistratura considerato che, nonostante le pregresse denunce di violenza, in molti casi si è arrivati lo stesso al femminicidio per la sottovalutazione del caso.
Le associazioni del settore proliferano, ma allo stesso tempo i casi di violenza aumentano; torna utile a questo punto chiedersi se il ruolo delle associazioni è quello di operare per sensibilizzare ed affermare il contrasto alla violenza oppure è soltanto quello di accogliere le vittime. Purtroppo questa data del 25 novembre sta diventando una ricorrenza retorica, svuotata di significati profondi, di azioni concrete fatte di supporto economico ed aiuto agli orfani e alle famiglie. Chi ricorda il nome dell’ultima vittima, la sua storia? Chi conforta i familiari dati in pasto ai media per dare testimonianza della propria tragica esperienza? Chi sensibilizza realmente l’opinione pubblica al di là del procurarsi audience? Spesso per questa giornata si sprecano tanti soldi pubblici per manifestazioni che si limitano ad esporre scarpette rosse, a condannare verbalmente la violenza mentre la tragica fine di queste donne viene strumentalizzata e mercificata.
Per qualche giorno su giornali, riviste e trasmissioni televisive di intrattenimento si parla ininterrottamente dell’ennesimo omicidio; la vicenda umana è completamente dimenticata, per una settimana solo gossip con tanta pubblicità e strapagati volti,noti ai salotti televisivi.
Decine di colti ospiti, mille ipotesi di tanti criminologi ed infiniti strumentali commenti, mentre l’interesse dell’ennesimo caso pian piano sfiorisce e si incammina verso l’oblio sociale, pronto ad essere accolto nel dimenticatoio giuridico, dove la giustizia italiana langue.