Cosa resterà della guerra in Ucraina?

Cosa resterà della guerra in Ucraina?
Fonte immagine: Google Immagini/Getty Images

di Donatello D’Andrea

Cosa resterà della guerra in Ucraina? È presto per dirlo. La guerra non è ancora finita e, nonostante ci siano alcuni flebili segnali che indichino che questa si stia avviando verso la sua conclusione, sono ancora possibili sorprese ed epiloghi imprevedibili.

Molto dipenderà da come finirà la guerra e dalle conseguenze che la sua conclusione  avrà sullo scenario internazionale nei prossimi decenni. Eppure ci sono alcuni “lasciti” del conflitto che già meriterebbero di entrare nei libri di storia, in grado di fungere da indicazioni per il futuro.

Il primo concerne sicuramente l’aspetto militare. Nel corso di un secolo siamo passati dalla guerra di trincea a quella di movimento e a quella asimmetrica della seconda meta del Novecento. Quella in Ucraina è diversa dalle precedenti. Si tratta di una guerra ad alta intensità condotta tra una superpotenza a trazione militare e una nazione che, anche se è quasi privo di una trazione bellica, non è un Paese del terzo mondo ed è appoggiato da altre potenze e dagli Stati Uniti, un’altra superpotenza militare. Artiglieria, razzi, missili e droni stanno governando le battaglie con un consumo di munizionamento enorme (si dice che l’Ucraina consumi in pochi giorni in media la produzione di un anno di bombe a mano da parte degli americani). La Russia sta continuando a sostenere i combattimenti solo grazie alle immense riserve di munizioni e carri armati che conservava nei depositi ma ha dovuto comunque ricorrere a forniture esterne (dall’Iran e dalla Corea del Nord) per rimpinguare le scorte. L’Ucraina sta continuando a resistere e a contrattaccare solo grazie agli ingenti aiuti forniti dalla NATO e dagli USA, o avrebbe già esaurito da mesi le sue capacità difensive e offensive.

La dottrina militare dovrà tener conto degli insegnamenti emersi in questa guerra e soprattutto della necessità di disporre di scorte adeguate di mezzi, equipaggiamenti, risorse e munizionamento. Allo stesso modo, dovrà tener conto dell’efficacia dimostrata dall’impiego massiccio dei droni turchi e iraniani, cioè di armi pericolossisime ed efficaci guidate da remoto.

Il secondo riguarda l’aspetto sociale e comunicativo. La guerra in Vietnam fu la prima trasmessa in tv e quella in Iraq su internet. Quella in Ucraina è stata sicuramente la prima che ha avuto una risonanza mediatica enorme grazie ai social. E non solo. Il conflitto si è combattuto su queste piattaforme grazie alla capacità – soprattutto russa – di predisporre una apparato di disinformazione che aveva l’obiettivo di disgregare il fronte nemico, attraverso l’instaurazione di un rapporto di sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.

Un altro aspetto, di tipo psicologico, ed è quello relativo alla rottura dell’illusione che in Europa non fosse più possibile vedere una guerra. Gli europei si sentivano al sicuro da ogni tipo di minaccia grazie ai settant’anni di pace garantiti dall’UE e dalla pax americana. Non è così. La guerra è una costante della storia – tanto che con quella in Ucraina si parla di “ritorno della storia” – e unica vera condizione in grado di influire in modo permamente sul succedersi degli eventi.

Infine, un altro aspetto importante è quello della narrazione. Quella occidentale è diventata logora e poco credibile, e la prova n’è sicuramente la penetrazione ideologica di quella russa – che ha conquistato buona parte della popolazione dell’Europa – contribuendo a diffondere sfiducia nei confronti delle istituzioni statali schierate a favore dell’Ucraina e contrarietà al conseguendo supporto militare. Urge un riposizionamento dei valori occidentali e una nuova narrazione che poggi soprattutto su pragmatismo e realismo. Dopo la Russia ci sarà la Cina e per l’Occidente non sarà uno scherzo.

Per essere una guerra che dura da meno di un anno, il suo lascito è abbastanza corposo. Si spera sia anche istruttivo.

Redazione Radici

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