La politica estera di Papa Benedetto XVI

La politica estera di Papa Benedetto XVI
Fonte immagine: Wikimedia Commons

di Donatello D’Andrea

Personaggio a tratti indecifrabile e, per le sue considerazioni sull’omosessualità, contraddittorio, il Papa Emerito Benedetto XVI, deceduto l’ultimo giorno del 2022, è stato forse uno dei pontefici più “politici” degli ultimi tempi. Il fatto di succedere a Giovanni Paolo II, il responsabile della rinascita politica della Chiesa Cattolica, gioca a suo sfavore, ma ciò non deve trarre in inganno: anche Ratzinger ha cercato a suo modo di incidere sugli eventi politici e storici del suo tempo, entrando certe volte in contrasto con le decisioni adottate dai governi più importanti del pianeta.

Erroneamente ritenuto un Papa “impolitico” rispetto al suo predecessore, in soli 8 anni di pontificato Papa Ratzinger ha cercato di fare più politica di quanto si potesse immaginare. Anche da dimissionario – evento che comunque ha avuto le sue conseguenze sull’ala conservatrice del Vaticano e non solo –  ha continuato a rivestire un ruolo di primo piano nella politica Vaticana, essendo un punto di riferimento per alcune “aree partitiche” della Santa Sede.

Per anni, in particolare tra la Grande guerra e gli anni ’70 del secolo scorso, il Vaticano ha vissuto di puro e semplice realismo, di una realpolitik che l’ha costretto a sopravvivere per non morire, a dedicarsi solamente alla dimensione spirituale e non politica dello scibile umano. Soltanto l’ascesa di Giovanni Paolo II – con le efficaci parentesi di Paolo VI e Giovanni XXIII –  ha riaperto le porte della “politica” al Vaticano. Non è un caso che con la sua morte, i leader del mondo che conta hanno sfilato davanti alla sua tomba in segno di rispetto, certo, ma anche perché sono tornati a riconoscere nella Chiesa quell’autorità e quell’influenza, non solo morale ma anche politica, che da tanti anni le mancava.

Di Ratzinger non si ricordano azioni ma “logos”, cioè discorsi. Il primo nel 2006 a Ratisbona, dove il Papa pronunciò parole che scossero il mondo, soprattutto quello islamico, e il quale, seppur tra le critiche, ha inaugurato un nuovo periodo di dialogo tra Occidente e Oriente, tra religione cattolica e islamica.

Ratzinger ha alternato interventi di questo tipo – non mediati, non rielaborati e per certi versi “anti-diplomatici” – a iniziative che inducono a una profonda riflessione sul rapporto tra fede e ragione. D’altronde stiamo parlando di un teologo, che ha passato tutta la vita a studiare il rapporto tra scienza e fede. Per Ratzinger occorreva coniugare la critica agli aspetti più deleteri della modernità con l’apertura a quelli positivi e utili. Da qui il dialogo tra fede e religione, tra la religione cattolica e le altre confessioni. Il viaggio in Turchia nel 2006 ha rappresentato un successo mediatico politico, così come la prima visita di un sovrano saudita – re Abdallah bin Abdulaziz Al Saud – in Vaticano, avvenuta il 6 novembre 2007. Per Papa Benedetto XVI la complessità del mondo moderno poteva essere colta solo con una profonda e razionale riflessione d’insieme.

Sembrerà incomprensibile per alcuni, ma Benedetto XVI per molto tempo ha sostenuto la perdita da parte del cristianesimo dei suoi fondamenti razionali. E all’islam il Papa ha detto di fare lo stesso, non commettendo, però, l’errore dell’Occidente. A Ratisbona, Benedetto XVI ha inviato l’islam a distinguere tra religione e ragionevolezza. Un messaggio, anche politico, molto importante, che avrà delle conseguenze sulle sue successive scelte.

Infatti, Ratzinger da buon conservatore ha appoggiato Bush Jr, nonostante non abbia fatto mancare delle pesanti critiche al capitalismo, ed è stato un grande avversario della politica mediorientale di attivo sostegno all’Islam politico perseguita dall’amministrazione Obama, ritenuta fallace e pericolosa (come poi infatti si è rivelata).

Allo stesso tempo, Benedetto XVI è stato un forte propugnatore della riconciliazione con il Patriarcato ortodosso di Mosca, in linea con la politica perseguita dal governo tedesco in quegli anni e mirante a conciliare il mondo cristiano.

Famosi sono i suoi moniti sull’identità religiosa e politica dell’Occidente, poco apprezzati dai più ma che di diritto sono entrati nel dibattito pubblico europeo e non solo. Parole apprezzate negli USA ma non in Europa, dove il legame tra fede e politica richiamato dal Papa era osteggiato. Ciò è confermato dal legame importante tra Bush Jr e Ratzinger, culminato nell’amichevole accoglienza del primo in Vaticano nel 2008. Lo stesso anno il Presidente americano permetterà al Pontefice di festeggiare il suo compleanno alla Casa Bianca.

Se in politica estera i risultati sono stati discreti – la sua visione occidentalocentrica è stata ampiamente superata dall’universalismo di Bergoglio – lo stesso non si può dire in politica interna. Le timidissime aperture compiute in Vaticano non hanno trovato il sostegno dei riformisti e gli sono costate l’appoggio dei conservatori che, seppur abbiano visto in lui una guida, sono state accolte con un certo stupore e disorientamento. Le sue dimissioni hanno avuto un grande impatto politico, lasciando la fazione conservatrice senza un “leader”. Il ritiro dalla vita politica non è mai stato “definitivo”, seppur nemmeno lo smantellamento delle sue linee guida, cioè il Summorum Pontificum – considerato a più riprese il lascito più importante degli anni di Ratzingerda parte di Francesco, abbia provocato una sua reazione.

Da questo punto di vista si può dire che, nonostante la sua parentesi sia stata importante, il lascito politico di Benedetto XVI è quello di un “Papa parentesi”, tra l’epopea giovanpaolina e la rivoluzione bergogliana. Un grande studioso, uno degli ultimi veri teorici europei ed occidentali, inserito in una parentesi storica in cui l’Occidente non conta più come un tempo.

Redazione Radici

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