Donne, diritti e violenza ostetrica
L’8 Marzo, giornata internazionale dei diritti della donna, rappresenta una occasione per riflettere sulle disuguaglianze che, ancora, tante donne patiscono, ad esempio in ambito lavorativo, con minori guadagni e con maggiori difficoltà di crescita professionale rispetto ai colleghi uomini, anche se, è necessario dire che attualmente la situazione è considerevolmente migliorata.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel rapporto “Women in Business and Management: the business case for change”, pubblicato nel 2019, ha sottolineato infatti, l’interesse delle imprese a migliorare le condizioni lavorative per le donne, le quali nel settore pubblico e privato, contribuiscono in termini di efficacia e profitto.
Ciò non significa che i problemi legati alla discriminazione di genere siano risolti poiché, ancora oggi i temi della violenza fisica e psicologica, dello stalking e del femminicidio sono, purtroppo, parte integrante della cronaca nel nostro Paese, problematica a cui se ne aggiunge un’altra: la violenza ostetrica, una forma di violenza che rimane per lo più collocata nell’ambito dell’esperienza personale e privata, ma comunque produttrice di altrettanta sofferenza.
Con il termine violenza ostetrica si intende il trattamento, a volte, negligente e/o irrispettoso che i sanitari potrebbero avere nei confronti della donna partoriente, sia nella fase di travaglio, sia durante il parto.
Sulla violenza ostetrica non c’è una definizione specifica, in quanto, generalmente si riferisce a dei comportamenti di trascuratezza e negligenza, percepiti dalle madri come forme di violenza nei loro confronti. A questo proposito, nel 2014, l’OMS (World Health Organization) ha evidenziato che atteggiamenti, pratiche e comportamenti riferibili ad una forma di violenza ostetrica si riscontrano in tutto il mondo, ponendosi come una violazione dei diritti delle donne ad avere un’assistenza sanitaria rispettosa delle loro necessità.
Nella definizione di Save The Children, per violenza ostetrica si intende “un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso, o la mancanza di rispetto per il corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso” (il documento è disponibile all’indirizzo https://www.savethechildren.it/blog-notizie/violenza-ostetrica-e-umanizzazione-del-percorso-nascita).
In tal senso, la violenza ostetrica potrebbe essere considerata come una violenza privata, a tratti “paternalistica”, ma in grado di insinuare nella donna partoriente insicurezza, dubbio e paura, a causa del percepirsi come donna inadeguata e dunque, non capace di prendersi cura del proprio bambino.
Secondo l’OMS, al fine di migliorare la condizione delle partorienti e prevenire situazioni di violenza ostetrica, sarebbe necessario dare ai professionisti del settore medico-sanitario una formazione approfondita e adeguata, oltre che un supporto alla loro professione affinché, siano rispettosi della maternità in ogni sua fase e in tal modo, viene affermata l’esigenza di una “rispettosa assistenza alla maternità” quale principio fondamentale della tutela dei diritti delle donne e dei nascituri.
Dalla ricerca Doxa, commissionata dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, è emerso che “negli ultimi 14 anni circa 1 milione di mamme italiane abbiano vissuto un’esperienza di violenza ostetrica durante il parto o il travaglio” (il documento è disponibile all’indirizzo https://ovoitalia.wordpress.com/indagine-doxa-ovoitalia/).
Tuttavia, la ricerca ha avuto delle critiche da parte dell’Associazione Ostetrici, Ginecologi Ospedalieri Italiani (https://www.aogoi.it/notiziario/archivio-news/inchiesta-doxa-violenza-ostetrica/), per il fatto di aver riportato, esclusivamente, un lato negativo della realtà sanitaria fatta, comunque, di professioniste e professionisti con gradi elevati di competenza, in quanto è fondamentale non dimenticare che le innovazioni nel campo della medicina hanno consentito di evitare alle donne l’insorgenza di eventuali problematiche durante il parto, come invece avveniva nel passato.
La questione della violenza ostetrica, infatti, è ampia e, su di essa, si dovrebbe riflettere attentamente e rispetto al caso specifico. In tal senso, il rapporto tra medico e/o professionista sanitario e partoriente, non dovrebbe limitarsi ad un atteggiamento “paternalistico” o di “medicalizzazione” del corpo, ma, dovrebbe basarsi piuttosto sull’attitudine alla comunicazione empatica, in particolare, con riguardo un tema così importante come quello della maternità.
di Laura Sugamele