Sfruttamento del corpo femminile nella questione della “maternità surrogata” contrattuale-commerciale
di Laura Sugamele
La “maternità surrogata” è una tecnica di procreazione medicalmente assistita denominata anche come “gestazione per altri”, “surrogazione di maternità”, “maternità per sostituzione”, ma conosciuta nel linguaggio corrente come “utero in affitto”. Le questioni etiche che il tema mette in evidenza, vengono rilevate in riferimento al fatto che c’è una donna, la quale porta a termine per un’altra donna o per un’altra coppia, eterosessuale oppure omosessuale, una gravidanza. La procedura può avvenire mediante concepimento in vitro, ossia mediante fecondazione con gamete maschile (spermatozoo) e gamete femminile (ovocita), che possono essere sia della coppia intenzionale che del donatore o della donatrice. Nel caso in cui sia coinvolta una donatrice, in questa ipotesi, la “madre surrogata” (o “gestazionale”) offrirà il suo corpo per una gravidanza che verrà portata a compimento sino al momento del parto, ricevendo l’embrione generato mediante donazione di gameti.
In questo caso, la problematicità si rivolge ad una frammentazione delle tradizionali categorie di “procreazione, “maternità”, “genitorialità”, nel senso che nella tecnica di “surrogazione di maternità” ci sono diversi soggetti coinvolti. Altro aspetto da considerare deriva dal fatto che, in genere, la “maternità surrogata” si sostanzia in un vincolo contrattuale-commerciale tra le parti contraenti. Questo nuovo e diverso scenario pone in relazione tecnologie riproduttive e “diritto” alla maternità e/o genitorialità, scenario che secondo Charis Thompson, docente di sociologia alla London School of Economics, inevitabilmente, tende ad intrecciarsi a interessi economici.
È necessario sottolineare che oltre alla “maternità surrogata”, maggiormente diffusa, che è quella contrattuale, c’è anche quella definita “altruistica”. La prima modalità è caratterizzata da un contratto e da un compenso per la donna gestante e in questo caso sono più evidenti gli eventuali pericoli di uno sfruttamento del corpo femminile a fini riproduttivi-procreativi. Per quanto riguarda, invece, la seconda modalità, c’è sempre una donna che offre il proprio corpo, con la differenza che non c’è un vero e proprio guadagno, ma un rimborso spese per essersi sottoposta alla procedura e alla gravidanza.
Sulla linea di una riflessione critica della “maternità surrogata”, contrattuale e commerciale poiché, legata all’aspetto economico che tende a contraddistinguerla, si pone un famoso testo del femminismo: L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto di Luisa Muraro. La filosofa e scrittrice, ravvisa nella “maternità commerciale” delle connessioni tra il mercato – nella fattispecie neoliberale – e tecnologia orientata, sia a sfruttare un bisogno umano che a trarre profitto dal corpo femminile quale “strumento” riproduttivo laddove, l’espansione dei “diritti”, con riferimento all’aspirazione e al riconoscimento di desideri individuali, in un certo qual modo maschera la realtà, ovvero, che tali diritti tendono ad allinearsi alle leggi del mercato, con la conseguenza di acuire le disuguaglianze economiche, nel momento in cui le personali aspirazioni sono realizzabili, per lo più, da quei soggetti economicamente facoltosi.
Nella “maternità surrogata” commerciale, a denotare criticità è quindi il coinvolgimento diretto della “madre surrogata” nella gestazione, una donna che, sostanzialmente, mette a disposizione il suo corpo in favore di terzi soggetti. La situazione che si prospetta rinvia alla teoria della “capacità lavorativa” di Karl Marx, che nel primo capitolo del Capitale (libro primo), dal titolo La merce, introduce le nozioni di forza-lavoro, ricchezza conseguente alla “raccolta di merce” e di “valore d’uso” della stessa merce, la quale, acquisisce “valore” perché determinata proprio dal “lavoro umano”. In quest’ottica, similmente all’operaio che cede la sua “forza-lavoro” al padrone capitalista, nella “maternità surrogata”, la donna cede un bambino ridotto a un oggetto di vendita. In tal modo, nella relazione tra tecno-scienza e dimensione economica si inserisce uno “spazio”: quello della percezione dell’essere umano quale “bene” di consumo. Un tempo il capitale era incardinato al lavoro di fabbrica e poi a quello aziendale, oggi, invece, la dilatazione consumistica della produttività bio-economica ha inglobato la “vita” umana iniziando dall’utero.
Le motivazioni “liberatorie” e “autodeterminanti”, aspetti che, per le sue sostenitrici e sostenitori dovrebbero connotare la “maternità surrogata”, tuttavia sono difficili da comprendere laddove, il vincolo contrattuale per la potenziale “donna surrogata” costituisce una sottile limitazione della sua personale autonomia, come del resto viene affermato dalla Coalizione Internazionale contro la Maternità Surrogata, secondo la quale, proprio il contratto configura il corpo femminile all’interno di un processo di sfruttamento economico. Tale posizione viene sostenuta da Renate Klein, femminista e attivista, per la quale la “maternità surrogata” è finalizzata ad una lesione dei diritti umani, non solo della “madre surrogata” e del bambino/a che nascerà, ma anche dell’eventuale donna fornitrice di ovociti[1].
Nonostante i rischi e i timori di un possibile sfruttamento del corpo femminile, sembra che il business della “maternità surrogata” sia addirittura in auge, tanto da non essersi fermato nemmeno in Ucraina, dove, ancora prima che scoppiasse la guerra contro la Russia, era uno tra i paesi più frequentati per la “maternità surrogata”, in virtù di una legislazione efficace e di prezzi competitivi rispetto ad altri Paesi. In Ucraina la procedura ha un costo che varia dai 40.000 fino a raggiungere i 65.000 euro, a differenza degli Stati Uniti dove il costo è più elevato e può raggiungere i 160.000 dollari[2] e dove, ad esempio, è attivo il Center for Surrogate Parenting. Analoga situazione, fino a qualche tempo fa, aveva caratterizzato l’India, nel quale il mercato della “maternità surrogata” commerciale andava a collocarsi all’interno di un meccanismo di produzione-riproduzione (quasi industriale) e che si è interrotto soltanto nel 2021 con il Surrogacy Regulation Act.
In altri Paesi come il Canada, invece è più diffusa la “maternità surrogata altruistica”, ossia quella che prevede il rimborso spese e il servizio viene gestito da agenzie intermediarie. Stessa situazione in Gran Bretagna dove il servizio di “maternità surrogata altruistica” è legale dal 1985 e anche in questo caso sono previsti rimborsi spesa per la “madre surrogata”.
In una prospettiva critica della commercializzazione e dello sfruttamento del corpo femminile, che tende più che altro a caratterizzare la “maternità surrogata” contrattuale e in minore grado quella “altruistica”, ma nella quale, a mio parere, sembra esserci comunque una difficoltà connessa propriamente alla presenza di denaro, dal mio punto di vista, è differente una maternità che, pur rimanendo nell’ambito della tecnica di surrogazione, si presenta come un dono sincero, profondo ed intenzionale, ad esempio nel caso di una madre che intende aiutare la propria figlia che non può partorire a causa di una problematica, oppure nel caso di una sorella che vuole aiutare sua sorella o di un’amica che vuole aiutare una sua amica o dei suoi amici a realizzare il desiderio di diventare genitori. In questo caso, nonostante possano subentrare alcuni dubbi etici (e giuridici), una “maternità surrogata” del dono, ossia totalmente priva di denaro, dunque sottratta alla presenza di contratti e di eventuali compensi, sarebbe una situazione completamente differente, ribadendo comunque la criticità e la complessità della situazione in sé.
Nella differenza tra ciò che andrebbe davvero identificato come un “dono” e ciò che forse non lo è, proprio per la presenza di denaro, rimane il fatto che la maternità, nella connotazione più strettamente commerciale e contrattuale che si inserisce nella “surrogata”, da aspetto intimo e personale della vita di una donna, si è tramutata invece in qualcosa di acquistabile e, in tal modo, l’autodeterminazione sul corpo femminile, più che altro, lascia spazio ad una sua riduzione o limitazione.
[1] https://feministpost.it/segnaliamo/verso-labolizione-della-maternita-surrogata-unantologia-e-un-dibattito/
[2] Marinelli S. et al., The armed conflict in Ukraine and the risks on inter-country surrogacy: the unsolved dilemma, in “European Review for Medical and Pharmacological Sciences”, 2022; 26: 5646-5650, https://www.europeanreview.org/wp/wp-content/uploads/5646-5650.pdf