Turismo di guerra

Turismo di guerra

di Ferdinanda Saderi

Immaginate di godere di una vista mozzafiato: un’immensa stellata notturna, davanti ai vostri occhi l’esteso e silenzioso panorama illuminato dalla luna, scandito da figure camuffate dal buio e da una bassa bruma instabile, quando improvvisamente, incastrato il cinturone della vostra divisa sulla banda metallica del cupolino del carro armato che vi è stato dato in dotazione, vi si ordina di riposizionare il cannone sul quale si infrange un piccolo proiettile, e la stessa voce sconosciuta, in inglese mal scandito,  vi ordina di rimettere a posto lo zaino da pic nic, prima che il cingolato riprenda la marcia.

Non è un film ma un ordinario e sobrio istante di avventuroso itinerario da poter vivere al posto dei molti facoltosi turisti che, fra quelli non specializzati nell’arte bellica e genieri, vivono durante i giorni di vacanza, intorno alle prescelte destinazioni di soggiorno: i fronti di guerra. In Italia, lo scarso materiale  relativo al cosiddetto Turismo di guerra fonde  informazioni  e stili turistici riguardanti i viaggi internazionali e locali  – più indirizzati ai comuni luoghi della memoria di tutto il territorio nazionale, quali musei a cielo aperto e le tradizionali sale che ospitano reperti, reliquie e documenti – al vero militurismo, catalizzato da svariati generi e strettamente connesso ai fronti di guerra; siti a loro volta suddivisi in lembi molto vicini alle zone calde di scontro, e aree spente, veri e propri campi di battaglia messi in sicurezza e adeguati alla parziale o totale fruizione da parte dei visitatori.

Questo secondo caso interessa principalmente sostenitori dei paesi colpiti, giornalisti, famiglie, semplici viaggiatori curiosi di attraversare ed esplorare ciò che resta delle città bombardate, e annesse aree limitrofe smilitarizzate, percorrendo sentieri predefiniti e sorvegliati. L’esempio internazionale più tangibile, nei giorni correnti, è l’Ucraina; allo stesso modo è possibile introdursi in aree militarizzate perfettamente intonse, quali furono e sono lasciate dai combattenti, ancora fornite del corredo di mezzi di dotazione e strumenti bellici, mantenendo l’assetto scenografico originale col quale è possibile interagire, immersi nell’originario paesaggio di guerra. Per i milituristi vi si simulano battaglie e vita da campo, ma si può anche studiare e fare laboratorio di balistica, ingegneria, statica,  grazie agli specialisti di ruolo, cultori, studiosi in congedo. L’uso regolare dell’equipaggiamento entro un contesto filologicamente fedele è straordinariamente confermato da una testimonianza diretta su un canale telegram delle ultime ore di oggi, in cui alcune soldatesse russe commentano la cattura di un BMP M2A2 Bradley a Zaporozhye col quale ‘allestiranno la futura mostra museale’;  non proprio casuale battuta, poiché il militurismo in terra russa è una prassi legale e di gran successo, concentrata precipuamente in agro moscovita, ove si ospitano anche strutture specializzate nelle quali è possibile apprendere teoria e pratica, contestualmente alla qualità dell’utenza.

Questa attività parabellica, è gestita da privati, coordinata da capi militari di precisi organi dell’esercito, che non fanno alcun riferimento al Ministero della Difesa, in molti casi assicura introiti a occasionali guide in loco che possono essere militari congedati che vogliono creare un introito o figure ibride di contesto, producendo flussi di molte migliaia di valuta corrente spesso impiegate nella valorizzazione del sito e nella manutenzione della strumentazione. Per farsi un’idea  asti pensare ai militursiti delle classi più abbienti, che possono permettersi di prenotare voli di ricognizione a bassa quota e nella stratosfera, voli supersonici con cifre acrobatiche comprese, con la possibilità di manovrare,  così come nella trasposizione a capo dell’articolo, un carro armato, o quale che sia congegno perfettamente funzionante ed originalmente in uso durante gli scontri.

Baghdad, Damasco, Mogadiscio e Gaza sono in testa a una lunga lista di mete milituristiche, variamente note ma il primato assoluto lo conserva Israele, dove è notevolmente più facile pagare per assistere ai conflitti correnti , nella declinazione del dark tourism che quando interessa aree geografiche meno controllate come quelle dell’Africa Subsahariana, contempla casi di estrema pericolosità, in cui i viaggiatori restano prigionieri durante lunghe poste di blocco – nel migliore dei casi, mentre in quello peggiore, i turisti radicali possono commettere saccheggi o vendersi come legionari mercenari per combattere nelle fila di alcuni schieramenti locali. Dell’organizzazione dei militour si occupano precise compagnie di viaggio che, nonostante tutto, devono soddisfare una ben precisa domanda commerciale, pur fornendo tutte le informazioni contestuali ai fattori di rischio estremo, raramente riescono a distrarre il militurista con proposte più regolari.

È un genere di turismo che ha radici ben salde, e sistematiche a partire dai viaggi ottocenteschi, e che è curato oggetto di studio da parte dell’accademia americana, in via del cruciale ruolo promotore che l’America ha svolto anche a cavallo delle guerre mondiali e della guerra fredda: inglesi e americani, avevano prima improvvisato, poi sistematicamente ideato strutture di riposo e svago immediatamente prossime alle aree  interessate  per le reclute in congedo  e le loro famiglie, negli stessi luoghi dove, ancora oggi, gli americani scelgono la rievocazione militare, come nelle giungle del Vietnam diventate mete popolarissime scelte dai turisti americani come divertente pratica di dimagrimento (!)

Il dibattito internazionale, di multidisciplinare natura, è impegnato su più fronti nello studio del fenomeno, accogliendo gli aspetti positivi della conoscenza e della sensibilizzazione che sono valori più facilmente recepibili e trasmissibili nelle tradizionali versioni dei musei di guerra, ma analizzano principalmente la trasversalità del paradosso turismo-guerra, e i suoi effetti anche positivi per le economie locali e internazionali. Quindi la dimensione economica, quella scientifica e quella sociale sembrerebbe tradire il perbenismo con un sotterraneo piacere del macabro.  Ma oltre l’inesorabile antropologia, non sarebbe male se la Guerra fosse soltanto un film.

di Ferdinanda Saderi

Redazione

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