Padova – tesori nascosti – continua il viaggio…
In occasione delle Giornate del FAI, anni fa, ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire ed ammirare la Chiesa e la Scoletta del Carmine. Come sempre, anche quel giorno avevo portato con me penna e taccuino per prendere appunti. Ed ecco qua…
- La zona: Ci troviamo vicino Porta Molino
Affacciata verso settentrione, Porta Molino si innalza al termine del Ponte Molino che attraversa il ramo del Bacchiglione chiamato Tronco Maestro. Il ponte, a cinque arcate, è di origine romana e risale al 40-30 a.C. anche se fu, chiaramente, più volte ricostruito in loco e con parte del materiale originale. Assieme a Pontecorvo, Ponte Molino è l’unico dei ponti romani tuttora in servizio.
La Porta Molino o Porta dei Molini era il principale dei quattro accessi che si aprivano nella cinta muraria medievale di Padova. Oggi è tra i resti meglio conservati. Il nome deriva dai numerosi mulini ad acqua, ben 34 nel 1300 (un’altra cinquantina era sparsa lungo i corsi d’acqua interni e altrettanti nel contado), diminuiti a 24 verso il XVIII secolo e, infine, soppressi negli anni 1883-1884.
Ad arco ogivale, la porta è sormontata da una possente torre. Si narra che proprio da questa torre Galileo vide i quattro satelliti di Giove, come ricorda la lapide dettata dall’epigrafista padovano Carlo Leoni (1812-1874): “da questa torre Galileo molta via de’ cieli svelò”. Ma pare si tratti di una leggenda.
- I Mugnai
I mugnai avevano incominciato a stabilirsi nella zona di Ponte Molino già nel Duecento, grazie alla disponibilità e all’ingente flusso d’acqua. I mulini di Ponte Molino erano galleggianti, ossia costruiti in legno su due o tre barche ancorate a riva, mentre quelli che si trovavano alle Torricelle erano terragni, ossia costruiti in muratura e, pertanto, più stabili e idonei a ospitare anche impianti industriali diversi, come folli per la lana, segherie, macine per cereali. Altri mulini si trovavano a Ognissanti, a Santa Maria in Vanzo, in Prato della Valle. Appartenevano in epoca comunale alla Chiesa, al Comune e ai grandi proprietari terrieri. Il mugnaio era affittuario del mulino e pagava l’affitto con la farina. Valeva la regola che ogni mugnaio tenesse per sé un coppo di farina ogni staio di granaglia macinato.
Nel Trecento i mulini diventarono di proprietà dei Signori carraresi, ai quali rimasero fino alla conquista veneziana, quando vennero confiscati e messi all’asta. La corporazione dei mugnai, che era devota dei Santi Rocco e Sebastiano, si riuniva presso l’omonimo altare nella Chiesa Del Carmine.
CURIOSITÀ = I mugnai erano considerati persone malvagie, anche perché facevano parte di sette eretiche
Da Porta Molino inizia, poi, Riviera dei Mugnai, dove è possibile vedere sezioni delle mura medievali, parzialmente incluse nelle costruzioni moderne. Nel rione di Via Dante, l’antica via romana collegata alla Porta, nel Medioevo avevano sede artigiani del cuoio e delle scarpe; i più poveri, che non potevano permettersi una bottega in città, trasferirono la loro attività verso la Riviera del Brenta, oggi nota per la fiorente attività calzaturiera.
LA BASILICA DEL CARMINE
La prima chiesa fu edificata nel 1212 e dedicata alla Purificazione di Maria. Verso fine secolo alcune monache benedettine, provenienti da Monselice, trasferirono lì il loro convento. Il convento fu ricostruito dai frati carmelitani prima del 1295 e la ricostruzione della chiesa ebbe inizio nel 1335. Riconosciuto come ordine nel 1300 dal vescovo Ottobono prima, e da Innocenzo IV che dette “la regola” dopo, si occupò di carità verso i bisognosi ed i carcerati. Intorno al 1381 sorse anche un’importante scuola teologica nella quale venivano a laurearsi frati di altri paesi. La nuova chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine fu consacrata nel 1446. Nel 1491, a causa di una forte nevicata cedette la copertura lignea, e la chiesa fu distrutta: si salvò solo l’abside poligonale. Della sua ricostruzione, iniziata nel 1494 si occuparono il lapicida Francesco Donato e Zuan de Riccardo “muraro”, sostituiti l’anno successivo da Pietro Antonio degli Abati (al quale si deve la cupola), Lorenzo Da Bologna e il Maestro Bertolino ai quali si attribuiscono gli arconi laterali. Nel 1503 subentrò ai due il Maestro Muraro Biagio da Ferrara figlio di Bonaventura Bigoio, progettista della Loggia del Consiglio.
La miracolosa cessazione della peste nel 1576 suscitò nei padovani il culto della Madonna del Carmine e qui fu trasferita una sua immagine.
Nel 1696 a causa di un terremoto crollò la volta cinquecentesca e nel 1800 bruciò la cupola eseguita da Pietro Antonio.
In età napoleonica rischiò la demolizione. Napoleone, infatti, ordinò alla Chiesa di rinunciare ai propri beni, tranne le parrocchie. Nel 1810 il convento e la Chiesa furono soppressi e divennero di proprietà demaniale. Il Vescovo Dondi Dall’Orologio e il Conte Maldura, capo fabbriciere di S. Giacomo cercarono di salvare la chiesa e trasferirono la parrocchia da San Giacomo ai Carmini. Nel 1830 fu riparato il danno subito dalla cupola, ricostruita in seguito più volte a causa di danni procurati da eventi naturali, fino al rifacimento in rame della calotta esterna nel 1931-32. La scuola e il chiostro furono danneggiati durante la Seconda guerra mondiale.
Nel 1960 Papa Giovanni XXIII concesse l’onore alla chiesa di diventare Basilica.
NOTA IMPORTANTE: La porta in legno è opera di intaglio del 1412 ed è il più antico di Padova.
LA SCOLETTA DEL CARMINE
La Scoletta fu fatta costruire nel 1335 da Guglielmo del Sale per la Fraglia (n.a.d.: Scuola, Confraternita) di Santa Maria del Carmine.
Il vestibolo piuttosto malmesso, presenta ancora tracce dell’Adorazione dei Pastori di Domenico Campagnola.
Le pareti sono affrescate con i fatti della storia di Maria dal suo concepimento al trionfale salire al cielo. La narrazione inizia dietro l’altare a sinistra e si svolge in sedici riquadri concludendosi dietro l’altare a destra. Vi lavorarono, grandi nomi della Padova del Cinquecento: Girolamo dal Santo, Domenico Campagnola, Giulivo Campagnola, Stefano Dall’Arzere.
Siccome, in seguito, fu innalzata una porta per entrare nella Scoletta, i due bellissimi affreschi di Stefano Dall’Arzere, Il Presepe e La presentazione di Gesù al Tempio, rimasero fuori (bisogna vedere per capire). Lui, allora, volle ridipingerli dentro ancora più belli.
Inoltre, se pensate che si tratti di pittori ignoti e di poco conto, sappiate che Giulio Campagnola fu allievo di Squarcione ed il figlio Domenico di Tiziano.
Venite a visitare Padova…ve ne innamorerete!!!
Monica Montedoro