Sensibilizzazione e cultura della sicurezza informatica: perché l’Italia ha ancora tanta strada da fare

Sensibilizzazione e cultura della sicurezza informatica: perché l’Italia ha ancora tanta strada da fare

di Martina Paiotta

L’Italia è sempre stata, dal punto di vista “geo-culturale”, un Paese abbastanza conservatore e tradizionalista, in genere, poco incline, a differenza di altri Paesi avanzati, alle innovazioni tecnologiche; pertanto, su taluni aspetti, è un Paese ancora “indietro” rispetto alla media dei Paesi tecnologicamente avanzati, e questo gioca negativamente sulla competitività nazionale.

L’ “impennata tecnologica” verificatasi nell’ultimo decennio, accelerata dalla pandemia da Covid-19, ha reso la digitalizzazione indispensabile per la sopravvivenza economica di un Paese, ed è così che l’Italia si è ritrovata improvvisamente a “dover recuperare ed assemblare” velocemente quei tasselli che, nel corso degli anni, si è persa.

Proprio a causa delle precedenti “distrazioni”, non sempre il nostro Paese risulta, ad oggi, perfettamente “allineato”, dal punto di vista tecnologico, alla maggioranza dei Paesi avanzati; i risultati raggiunti negli ultimi anni sono notevoli, ma la strada da fare è ancora tanta.

Dal punto di vista della Cyber-Security, il gap è ancora significativo e ciò comporta il dover esporre milioni di utenti, di euro e di dati sensibili, ai pericoli e alle minacce che la rete nasconde. La mancanza di specifiche competenze, di fondi necessari da investire, nonché di una solida cultura informatica, rappresentano un limite ulteriore all’implementazione di software pienamente competitivi ed efficaci. Da ciò deriva così un circolo vizioso, che porta imprese, società ed enti -pubblici e privati- ad avere timore di implementare tecnologie personalizzate per far crescere la propria attività a causa della scarsa tutela dalle minacce che lo Stato Italiano offre, situazione che compromette, di conseguenza, la competitività del mercato italiano con effetti diretti sull’economia. Come può, infatti, un’impresa, sentirsi al sicuro a spendere migliaia o milioni di euro in digitalizzazione se non è poi adeguatamente tutelata da attacchi che, in meno di un secondo, potrebbero mandare tutto all’aria?

Durante la pandemia da Covid-19, queste misure si sono rivelate poi, purtroppo, necessarie e vitali per le imprese che hanno dovuto non solo affrontare, in tempi brevissimi, complessi processi digitalizzati, ma anche ingenti perdite legate alla situazione di crisi economica che ne è derivata.

Sebbene la crisi pandemica sia -per fortuna- quasi superata, ancora oggi enti pubblici e privati si ritrovano a dover affrontare una digitalizzazione forzata per poter sopravvivere economicamente, senza però la certezza di ricevere, in cambio, giusta considerazione.

In sintesi, è arrivato il momento di effettuare un drastico cambio di pagina, sia dal punto di vista della stessa competitività digitale, che dal punto di vista della regolamentazione, ancora assai scarna in temi di tutela degli attori sia istituzionali che privati, e che pertanto scoraggia l’intraprendenza di pubblici e privati.

Promuovere una cultura della digitalizzazione e della cultura informatica si rivela anzitutto un passo fondamentale da compiere per salvaguardare la competitività dell’economia italiana, ma anche adeguare le infrastrutture a più elevati standard di sicurezza è un passo necessario per incentivare e stimolare attività ed investimenti che potrebbero permettere al settore tecnologico italiano di proseguire la propria espansione, ad oggi ancora “timorata” da una

Cyber-Security ancora troppo debole e lacunosa.

Redazione

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