Quando i dialoghi plasmano il cinema
di Alessandro Masi
Il cinema definito in termine critico ” Forma che diventa sostanza” è una creatura mutevole che nel corso degli anni cambia e si adatta a quelle che sono le tendenze e le correnti del periodo storico del momento, in alcuni casi però anche se inevitabilmente influenzato da tali variabili incentra il suo incipit in qualcosa che trascende il semplice evolversi della storia per restituire allo spettatore un esperienza visiva che trova il punto più virtuosistico dell’ opera altrove.
La narrazione e la messa in scena che solitamente sono il fulcro sul quale fanno leva le pellicole diventano più marginali lasciando spazio ad altri elementi che mettono in primo piano i dialoghi per far emergere la bellezza di una sceneggiatura che oltre a essere parte della pellicola ne diventa il cuore stesso, mettendo sullo sfondo il resto e creando opere non prive di difetti ma che offrono punti di vista altrimenti irragiungibili.
Tra queste opere alcune hanno riscosso un discreto successo di critica e pubblico e anche se non sono diventate cult, proprio per la loro particolare natura meritano una visione:
Sunset Limited Film del 2011 diretto e interpretato Tommy Lee Jones affiancato nella recitazione da Samul L.Jackson non ha visto la distribuzione nelle sale; concepita come opera teatrale scritta dall’ immenso Cormac McCarthy (autore di romanzi che hanno avuto trasposizione cinematografica di altissimo livello quali The Road e Non è un paese per vecchi e che non a caso ritroveremo con un altra opera di seguito) narra l’ incontro casuale di un uomo salvato da un tentativo di suicidio da uno sconosciuto che prova a dissuaderlo invitandolo nel suo appartamento, il film a questo punto è un incedere di dialoghi che vedono di fronte due persone diametralmente opposte: uno ex carcerato che ha trovato rifugio nella parola di Dio l’altro professore ateo che sembra aver perso ogni attrattiva nell’ esistenza stessa, a rendere tutto più coinvolgente è senza dubbio l’ interpretazione dei due protagonisti. The counselor – il procuratore Altro film concepito dalla penna di Cormac McCarthy e diretto da Ridley Scott, la pellicola oltre a narrarci le atrocità del traffico di droga del messico con il sud america sfugge nuovamente dal soggetto per diventare un opera con un più ampio respiro che percorre le profondità della natura umana evidenziandone le più profonde paure e le inevitabile tragedie che ne emergono dividendo sia critica che pubblico, forse anche pechè il regista ha voluto imprimere in questa opera più emotività di quanto la trama ne richiedesse in quanto dedicato al defunto fratello Tony Scott.
Il cast di questa pellicola vanta attori del calibro di Javier Bardem, Bradd Pitt , Micheal Fassbender, Penelope Cruz, Cameron Diaz e anche se più visivamente e concettualmente abbordabile dell’ opera precedente ne mantiene in parte i simbolismi e la ricerca della debolezza umana nelle domande che si pone e a cui raramente trova una precisa risposta.
Carnage
film di Roman Polasky che attinge dall opera letteraria ” il dio del massacro” di Yasmina Reza anche qui ritroviamo un unica ambientazione (fatta eccezzione per una breve sequenza iniziale e finale) che focalizza il cuore dell’ opera in un viaggio nelle profondità dell’ animo umano facendo emergere le emozioni che si celano dietro la maschera dell’ ipocrisia di due famiglie coinvolte in un piccolo bisticcio tra i loro figli ma che sfocia in una ben più grande tematica oggi più che mai ricorrente ossia l ‘ incapacità di comunicare tra esseri umani ognuno chiuso nel proprio mondo e pronto ad attaccare chiunque risulti una minaccia perfino adesso che viviamo in una società così evoluta sembra siamo incapaci di fuggire a certi istinti primordiali. Anche qui troviamo un cast di primo ordine con attori del calibro Christoph Waltz Jodie Foster e Kate Winslet ad impreziosire ulteriormente una pellicola dalla chiave di lettura tutt’ altro che banale.
Cosmopolis
l’ opera dalla visione senza dubbio più impegnativa sia per l’ inconfondibile cifra stilistica di uno di quelli considerati tra i più grandi registi contemporanei sia per la matrice dell’ opera stessa: trasposizione del romanzo di Don DeLillo nella quale i dialoghi sono rimasti invariati, una scelta che sicuramente ha il suo valore intrinseco ma inevitabilmente non aiuta il pubblico poichè non è facile inserire una tale mole di verbosità in un contesto che non ha ( e non può avere) la profondità di un opera letteraria.
Nonostante questo David Croneneberg con il suo Cosmopolis riesce ad affrontare tematiche introspettive come la razionalità e l’ istinto e allo stesso tempo argomenti ampli come lo spettro del capitalismo e il cinismo del consumismo contemporaneo scommettendo sull’ interpretazione di un giovane e forse acerbo per un ruolo così stratificato Robert Pattinson.
Un film che nonostante presenti delle precise caratteristiche che allontanino lo spettatore medio merita senza dubbio una visione.
The place
Occorre una premessa prima di parlare di quest’ opera nonostante personalmente lo ritenga un ottimo film che rispetta perfettamente le caratteristiche delle precedenti pellicole è doveroso dire che il soggetto sembra appartenere a una serie televisiva intitolata The Boot at the End. Il film per la regia di Paolo Genovese propone ancora una volta una singola ambientazione e lascia la regia completamente in balia dei ottimi dialoghi e della magnifica interpretazione attoriali che formano un cast interamente italiano:
Valerio Mastrandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Alba Rohrwacher, Rocco Palapeo e anche se come si suol dire non è tutta farina del suo sacco il prodotto finale che ne esce è secondo me quantomeno interessante.
Come già precedentemente sottolineato queste visioni non sono propriamente film dal ritmo serrato o sorprendenti dal punto di vista dell’ evolversi della trama ma puntano a intrattenere lo spettatore con un incedere lento e progressivo che cattura proprio per la loro natura atipica.
Inutile dire che per fruire di tali opere è più che mai necessario entrare nella giusta mentalità e a volte armarsi di pazienza ma cosa sarebbe il cinema se si utilizzassero solo i stessi espedienti e non si uscisse qualche volta dal seminato?