In memoria di Sergio Ramelli, un monito per il rispetto delle idee diverse
L’impegno e la determinazione del Dottor Luca Faraone per un mondo basato sul rispetto e sulla memoria delle vittime innocenti di politica.
Luca Faraone, persona determinata con una carriera straordinaria nel settore sanitario e un forte impegno politico. Dopo essersi laureato in giurisprudenza e aver acquisito esperienza presso uno studio legale a Reggio Calabria, prende una decisione coraggiosa: trasferirsi a Monza per intraprendere un percorso di crescita al Policlinico di Monza che parte dal basso.
Nonostante la difficoltà e la mancanza di retribuzione iniziale, mantiene la sua determinazione avviando una cooperativa di pulizie per sostenersi economicamente. Lavora duramente, occupandosi personalmente della pulizia di centri odontostomatologici e di una Rsa a Lissone fino a tarda notte, dimostrando la sua dedizione e la sua capacità di affrontare sfide.
Durante il suo percorso al Policlinico di Monza, svolge diverse mansioni di grande responsabilità distinguendosi come figura di riferimento all’interno del gruppo. Dimostra competenze nella gestione delle risorse umane e nella formazione, oltre ad essere un professionista sempre aggiornato e pronto ad offrire consulenza di alto livello alle imprese.
Ma la passione di Luca per la Calabria è sempre stata presente. Decide di candidarsi per la direzione generale del Poliambulatorio Policlinico di Monza di Bovalino, dimostrando il suo amore per la sua terra d’origine e la volontà di aiutare le persone. Parallelamente, si dedica all’impegno politico, cercando di fare la differenza e contribuire al miglioramento della società.
Luca si distingue per la sua curiosità, serietà e determinazione. La sua migliore caratteristica è l’umiltà, che gli permette di avvicinarsi agli altri e alle situazioni con un approccio aperto e rispettoso. È un professionista che cerca sempre di fare meglio impegnandosi costantemente per migliorare le proprie competenze.
Il suo profilo professionale evidenzia la sua consolidata esperienza nel ruolo di Direttore operativo, responsabile delle Risorse Umane e della Formazione. È un professionista esperto nella gestione delle relazioni industriali, nella supervisione dell’Amministrazione del Personale e nello sviluppo di percorsi di formazione. Ha una spiccata attitudine relazionale e una forte capacità di problem-solving e decision-making.
Luca ha un grande amore per la Calabria e un impegno politico che lo spinge a cercare di fare la differenza nel mondo. È una persona che ha molte idee e che è pronta a mettersi in gioco per contribuire al progresso e al cambiamento. La sua storia è un esempio di determinazione, passione e dedizione, e un incoraggiamento per tutti coloro che cercano di realizzare i propri obiettivi e fare la differenza nella società.
Ed è proprio la sua caratteristica che porta Luca a leggere, in sede consiliare, una riflessione sulla memoria di Sergio Ramelli, vittima di odio politico, affinché il suo sacrificio non sia mai dimenticato, articolo uscito il 16 febbraio 2020 su “Il Corriere della Sera” in cui Walter Veltroni ripercorre l’omicidio dello studente del Fronte della Gioventù.
Il testo integrale riporta: ” Il 29 aprile di 49 anni fa, a Milano, moriva dopo 47 giorni di agonia, Sergio Ramelli.
Il gruppo consiliare di Carate Brianza di Fratelli d’ltalia vuole ricordare un ragazzo come tanti altri, che viveva la propria adolescenza diviso tra lo studio, la passione per il calcio e che era come tanti di noi già appassionato di politica.
Sergio, in niente dissimile fisicamente dai suoi coetanei di sinistra, ha idee di destra. Sergio non si distingue “da tutti gli altri giovani” ma ha idee di destra e non le nasconde. Non è, racconta chi lo ha conosciuto, un fanatico. Da poco ha aderito al Fronte della Gioventù. Ma è capitato in una scuola dove le sue idee non sono tollerate. Tutto comincia con un compito in classe.
Il professore chiede ai ragazzi di descrivere un episodio che li abbia impressionati. E Sergio scrive un tema sul primo assassinio delle Brigate Rosse, quello compiuto a Padova nel 1974, in cui dei terroristi erano entrati in una sede del Nsi e avevano ucciso a freddo Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Quel tema fu l’inizio della sua fine. I suoi compagni ne vennero a conoscenza e i membri del collettivo politico di Avanguardia Operaia affissero i fogli di carta protocollo al muro sottolineandone le frasi e commentandolo con la scritta: “Ecco il tema di un fascista“.
Comincia così il calvario di Sergio nella sua scuola. Una mattina del gennaio 1975, i ragazzi del collettivo extraparlamentare del Molinari entrano nella classe di Sergio. Interrompono la lezione, zittiscono le flebili resistenze del professore, prelevano Ramelli dal suo banco e lo trascinano fuori. Nessuno si azzarda a fermarli. In corridoio inizia un processo sommario: sputi in faccia, insulti: “fascista, vergognati!”. Poi, quando lo lasciano andare, una minaccia: “Con te abbiamo appena iniziato, Ramelli”.
È la mattina del 13 gennaio 1975, Sergio sta uscendo da scuola, con lo zaino dei libri in spalla. Basta solo un segnale che subito viene raggiunto da un gruppo di ragazzi, molti dei quali, più grandi di lui, non frequentano nemmeno la sua scuola. Dieci anni più tardi i testimoni di quel giorno ricostruiranno l’accaduto davanti ai magistrati, ma allora nessuno aiuta il ragazzo. Sergio viene fermato, spintonato, costretto a impugnare un pennello. Viene — si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio — “circondato in strada da circa ottanta studenti e costretto a cancellare con la vernice bianca scritte fasciste comparse sul muro dell’lstituto…”. Racconta la madre Anita Ramelli: “Tornò a casa tutto sporco, ma a me disse solamente: “C’erano delle scritte e hanno voluto che le cancellassi”. Non voleva allarmarci, metterci in apprensione…“.
La giornata più drammatica, nel corso della lunga persecuzione che prepara il delitto, è quella del 3 febbraio 1975. Dopo molte discussioni, papà e mamma Ramelli hanno deciso di imporre al figlio di abbandonare il Molinari. A malincuore Sergio è costretto ad accettare, e quella mattina entra a scuola accompagnato dal padre per sbrigare le necessarie pratiche burocratiche. Purtroppo, li stanno aspettando: nel corridoio della scuola padre e figlio sono aggrediti, picchiati e costretti a passare fra due file di studenti per un violento rituale di sottomissione. Sembra la scena di un film di Kubrick, sembra un’arancia meccanica in salsa meneghina, e ancora una volta bisogna lasciare la parola ai magistrati Grigo e Salvini per sapere come si conclude questa terrificante passeggiata: “ll ragazzo era stato colpito ed era svenuto, mentre lo stesso preside e i professori che avevano scortato il Ramelli e il padre verso l’uscita erano stati malmenati”.
Ancora più sconcertante la testimonianza del professor Melitton, secondo cui la preside aggredì il padre e gli disse: “Ma non vede che lei e suo figlio siete un motivo di turbamento per la scuola?”. Sergio Ramelli, con il suo Ciao e i suoi capelli lunghi, torna a casa, quel giorno di marzo del 1 975. Lo aggrediscono in due, ma molti altri sono nei dintorni. Lo colpiscono con delle chiavi inglesi al capo, con violenza, ripetutamente. Sergio Ramelli si è accasciato al suolo, ma gli aggressori, trasformando il pestaggio in vero linciaggio hanno continuato a infierire, mentre il volto si copriva di sangue, che usciva abbondantemente da una ferita al capo. Morirà dopo 47 giorni di agonia. I responsabili sono dei giovani del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia.
La violenza nei confronti di Sergio è proseguita incredibilmente anche dopo la sua morte. Hanno continuato a fare scritte di minaccia al fratello, a devastare la vita di quella famiglia con quotidiane telefonate anonime, a minacciare il padre. Una vera persecuzione. Bisognava essere dei fanatici, o delle belve, per non avere neanche rispetto del dolore che straziava la famiglia Ramelli. Quel dolore che oggi indossa, con composta discrezione, la sorella, che allora aveva otto anni. Storie analoghe potrebbero raccontare le famiglie di tanti ragazzi di sinistra uccisi a coltellate o a colpi d’arma da fuoco, in tante parti d’ltalia. Sono stati tanti, troppi. La Russa racconta che, quando Sergio arrivò al Fronte della Gioventù, in quegli anni di scarsa affluenza, lo guardarono con sospetto. Per i capelli, per l’aria moderata, per il carattere introverso, timido. Quando si iscrisse chiese di “non ricevere la posta a casa”.
Erano anni duri, a destra e a sinistra. Anni di ambiguità, di distinguo pelosi e viscidi, di appelli pubblici firmati per pigrizia o per ignavia. No, quelle violenze erano “porcherie”, solo porcherie, che hanno rovinato la vita a un Paese intero. E hanno impedito di vivere a ragazzi che avevano delle idee che forse avrebbero cambiato, o forse no, nel corso di una vita in cui si sarebbero innamorati, forse sposati, forse avrebbero messo al mondo dei figli. Sergio e gli altri, divisi sanguinosamente in vita, devono oggi essere uniti nella memoria collettiva. Uniti, almeno sulla collina. Lontani dagli sciagurati che, in pianura, non erano capaci di capire e vivere la legittimità e la bellezza dell’altro da sé”.
In un momento storico come quello che stiamo vivendo, – scrive Luca, – caratterizzato troppo spesso da episodi di violenza e di odio, è fondamentale coltivare il ricordo di tutte quelle persone, di ogni colore e schieramento politico, che hanno perso la vita per la sola colpa di credere in idee e ideali diversi da quelli dei loro carnefici.
Si tratta di vittime incolpevoli di un ingiustificato odio politico, che non devono mai essere dimenticate e la cui memoria dovrà sempre essere tenuta viva, affinché la diversità di idee possa sempre muoversi all’interno dei binari della democrazia e affinché la loro morte non sia stata vana, ma costituisca un monito per tutte le generazioni future affinché simili fatti non abbiano mai più a ripetersi.
Questo articolo, non solo mostra la storia tragica di Sergio Ramelli, ma sottolinea l’impegno di Luca Faraone nel ricordare la sua memoria e tutte le vittime di violenza politica ingiustificata.
Luca dimostra la sua sensibilità e la sua determinazione nel mettere in luce queste storie e nel lottare per un mondo migliore, basato sul rispetto e sulla democrazia. La sua dedizione a promuovere la pace e la convivenza civile è un esempio per tutti noi.