Tangentopoli. La grande illusione illuminata
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“La grande illusione. Trent’anni dopo Tangentopoli” è un piccolo grande saggio storiografico molto sintetico che riassume perfetttamente la strana avventura politica e parapolitica di Tangentopoli” (www.biblionedizioni.it, 2022, Milano, 118 pagine, euro 14).
La storia politica italiana sembra sempre ritornare “ai nastri di partenza”. Se vogliamo storicizzare bene “il presente significa assumere la cronaca, gli eventi, i fatti, come materiali per un’analisi più ragionata. Collocarli in un sistema di connessioni capace di spiegarli. Proporre un’interpretazione” (introduzione). Tutto ciò che troviamo oggi a Roma, nasce da quella grande storia mediatica, più o meno elaborata a livello istituzionale e popolare.
Per provare a capire meglio possiamo svolgere questo genere di operazione in tre passaggi: “la collocazione delle fonti, criticamente vagliate; la ricostruzione degli eventi e dei processi; la loro interpretazione solo dopo aver compiuto i passaggi precedenti e offerto al pubblico la possibilità di conoscere le basi materiali, le fonti di riferimento” (introduzione). Si tratta quindi di un’operazione complessa, che può risultare più semplice a chi ha vissuto quegli anni da maggiorenne.
Riammodernando la storia presa in esame da Benedetto Croce, la storia recente si può capire meglio attraverso la “rivalutazione della cronaca”, non più considerata la “storia morta” di Croce. Per rivitalizzare la storia bisogna “mettere insieme i pezzi della cronaca quotidiana e preservarli nella memoria senza disperderli nella loro frammentazione e dotandoli di senso” (introduzione). La storia dei partiti viene così ridimensionata per essere capita meglio.
Comunque dal 1992 al 1994 “sono nati e andati sviluppandosi nuovi movimenti, nuove aggregazioni, partiti inediti sia per motivi ispiratori, sia per struttura, sia per fisionomia”. In questo modo è nata “l’illusione che proprio questi nuovi soggetti potessero ristrutturare il sistema politico italiano”. Lo stranissimo risultato finale lo possiamo verificare anche oggi, dopo le varie vicissitudini degli ultimi quattro anni.
Probabilmente gran parte del disastro istituzionale italiano nasce quando “i signori del salotto buono del capitalismo eliminarono una classe dirigente [anche] autorevole, lasciando in vita le decime file e un pezzo della sinistra democristiana, la Base, fondata da Giovanni Marcora e sostenuta da Enrico Mattei” (p. 116). Le cause del declino sono varie, ma il declino è stato chiaramente pilotato in una determinata direzione.
In definitiva si può sintetizzare questa bella sintesi con queste parole: “al governo del tecnico Draghi sono rimaste immutate tre malformazioni genetiche del sistema politico italiano: l’assenza di un serio partito conservatore di destra e di una forza liberaldemocratica di sinistra, capaci di creare un vero bipartitismo; la frammentazione del sistema; l’assenza di un efficace coordinamento tra centro e periferia, tra governo nazionale e governi locali del Paese” (p. 111). Bipartitismo o no, in Italia continuano a mancare i veri politici. I veri politici sono molto rari e non sono desiderati da nessun vero capo istituzionale. Figuriamoci se possono piacere ai nostri quasi amici americani.
Aurelio Musi è stato professore di Storia moderna presso l’Università degli Studi di Salerno, dove è stato preside della Facoltà di Scienze politiche. Editorialista delle pagine napoletane di “la Repubblica”, dirige il blog www.lidentitadiclio.com Per Biblion ha pubblicato anche “Un vivaio di storia. L’Europa nel mondo moderno” (2020). Musi è anche ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Nota – Molte riflessioni e contenuti “sono il risultato di tante chiacchierate e discussioni col mio compianto maestro e amico, Giuseppe Galasso” (introduzione). Moro e Kennedy sono morti. La politica viene agita così in Occidente.