Anni 50/60…

Anni 50/60…

Di Letizia Ceroni 

Ma se ci penso………
Sono nata in Piemonte, a metà del secolo scorso.
Secolo è una parola così grande e lontana, eppure è stato come un soffio.
Abbiamo vissuto molto intensamente.
Eravamo i figli di chi aveva vissuto la giovinezza nei tempi oscuri del regime e della  guerra e aveva conosciuto la paura, i soprusi e la povertà, quindi, la loro forza era la volontà di ricostruire per dare ai loro figli una vita migliore.
A metà del secolo scorso, le automobili non erano tante come ora, iniziava il boom economico, anche se nei paesi i suoi effetti si sentivano meno.
Il lavoro in campagna era motorizzato, anche se non accessibile per la maggior parte dei contadini, nelle risaie lavoravano ancora le mondine che, insieme agli altri lavoratori del settore agricolo, facevano scioperi per rivendicare i propri diritti, visto che la maggior parte lavorava in nero.
Nelle aie di molte cascine stendevano il riso ad asciugare per poter liberare i chicchi, mi ricordo che mia mamma aveva un recipiente d’alluminio, largo e basso, che lei chiamava “basletta ” dove metteva il riso per pulirlo da eventuali sassolini e scarti, prima di cucinarlo.
Ricordo le trecce di pannocchie di mais appese che attendevano di essere sgranate e il via vai delle rondini nelle stalle e nei fienili dove facevano il nido.
Nelle notti di giugno, i campi e gli orti erano illuminati dalle lucciole, era bello per noi bambini, c’era un profumo nell’aria tiepida, di fieno scaldato dal sole, preludio dell’estate, un profumo che non ho più sentito.
C’erano tantissime libellule, erano bellissime, verso sera, volavano in mezzo alle nuvole dei moscerini di cui si nutrivano e poi si posavano sugli steli più alti e sulle punte delle piante di granturco e abbassavano le ali dorate dalla luce del tramonto.
Nei fossi e nelle risaie c’erano tantissime rane, di notte, in campagna, facevano concerti insieme ai grilli. Mio padre le pescava, pure io quando fui abbastanza grande da poter andare con lui.
Faceva il panettiere, mio papà, lavorava dalla una di notte alla una dopo mezzogiorno, avvolgeva il pane nel grembiule e, arrivato a casa, faceva rotolare i panini fragranti sul tavolo. Una cosa che mi manca : il profumo del pane appena sfornato che si sentiva per strada.
Quando ero bambina, i panettieri non avevano il giorno di riposo, poi, gli fu concessa la domenica, tra le proteste della gente che non poteva avere il pane fresco nel giorno di festa ; così, per fare il “pane doppio”, il venerdì sera iniziava il lavoro alle 9.
Finita la cottura del pane, andava a consegnarlo nelle cascine fuori paese.
Me lo ricordo, con la “gerla” sulle spalle, andare a fare le consegne con il motorino, con qualsiasi tempo, in ogni stagione.
Ogni primavera, quando fiorivano i pioppi, sembrava nevicasse. Sulle strade, i soffici batuffoli vorticavano ad ogni alito di vento, anche al solo passaggio delle persone, grande festa per gli uccelli che preparavano il nido, molto meno per la gente che se li ritrovava in ogni angolo……… Poi, la pioggia li faceva scendere e non volavano più.
C’erano i vestiti di “tutti i giorni” e c’era il vestito della festa. Vuoi mettere la gioia e l’emozione quando, la domenica, potevi indossare il vestito bello, le calze bianche e le scarpe lucide, sembrava di essere una principessa, anche se l’abito era sempre un po’ grande, difficilmente veniva acquistato della misura giusta perché, i bambini crescono in fretta e l’abito doveva essere sfruttato il più possibile, non tutti potevano avere la lavatrice, tutto si lavava a mano e bastava un solo, piccolo armadio per contenere abiti e biancheria.
Ora sembra assurdo ma, in molte case, specialmente nei cortili, non c’era l’acqua corrente, si attingeva l’acqua gelida da una pompa azionata a mano , e il gabinetto era in comune, i bagni con la vasca c’erano solo negli appartamenti nuovi. D’estate, le donne mettevano i “mastelli” pieni d’acqua al sole per scaldarla così da poter fare il bucato, e nel mastello ci facevi il bagno. Anche in cucina, la maggior parte delle famiglie, avevano un fornello a tre fuochi, senza forno, tipo quelli che si usano ora nei campeggi.
Non c’era la grande distribuzione, c’erano i negozi : macellerie, fruttivendoli, pizzicagnoli, salumieri e panettieri, merceria e abbigliamento e…. Il grande negozio di stoffe del padrone di casa nostra; ancora si andava dalla sarta per farsi confezionare gli abiti belli. C’era familiarità nei negozi e i prodotti venduti seguivano le stagioni, tutto era a un livello più “umano” e, la domenica, c’era il pranzo della festa ; ricordo che, in una drogheria, facevano i ravioli di carne su prenotazione e, la domenica mattina, apriva per consegnarli, c’era sempre molta gente davanti al negozio dopo la messa ma, mia mamma era modenese e la domenica faceva la sfoglia emiliana “tagliatelle al ragù”. Tutto aveva un sapore diverso, anche le feste venivano vissute con una felicità quasi palpabile.
Credo che abbiamo perso molto.
Ora abbiamo praticamente tutto, comodità e tecnologia, ma è come se non avessimo nulla, abbiamo perso la semplicità e il gusto di cose che ora possono sembrare sorpassate, vecchie e ridicole ma che allora erano piccole, grandi conquiste.
Abbiamo perso l’incanto.
Letizia Ceroni 

Daniela Piesco

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