230.000 precari, chi li tutela? La politica e il sindacato alla prova del nove!
Dario Patruno
In matematica, la prova del nove è un test di controllo, semplice ma non sempre affidabile, per verificare l’esattezza del risultato di un’operazione aritmetica tra numeri interi, attraverso il raffronto delle radici numeriche degli operandi e del risultato.
L’affidabilità dei nostri politici in un paese in perenne campagna elettorale si gioca sulla capacità di fornire risposte certe in tempi brevi.
Nel settore della Scuola ormai sono anni che tutti a parole perseguono l’obiettivo di ridurre in maniera significativa il numero dei precari che dal 2015 sono passati da 70.000 unità a oltre 230.000 nel 2023.
La presidente del Consiglio quando era all’opposizione in qualità di leader del maggior partito di opposizione affermava nel 2020:
“Fratelli d’Italia chiede la stabilizzazione degli attuali precari della scuola, senza crearne di nuovi attraverso una graduatoria a immissione in base ai titoli e agli anni di servizio. La scuola ha bisogni di certezza e stabilità per ripartire”.
E’ ora di di allertare, in qualità di Capo del Governo il Ministro dell’Istruzione e del Merito con le sue Direzioni Generali a risolvere i problemi annosi che assillano e angustiano la platea del precariato.
Il primo sindacato a richiedere un incontro politico sul tema è stato l’Anief “L’unica soluzione contro il precariato è il doppio canale di reclutamento, l’unico in grado di mettere fine alle supplentite”: con queste parole Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ha annunciato che l’associazione sindacale chiede a gran voce un incontro politico sul reclutamento da GPS. L’incontro con il Ministro non ha portato ad alcuna soluzione producendo solo rabbia.
I precari storici, stante il mancato avvio dei percorsi abilitanti, se non riusciranno a conseguire il titolo entro giugno, comunque non potranno inserirsi in I fascia. E quindi verrebbero chiamati dopo l’esaurimento della prima graduatoria, solo se avanzano posti. Questa è una grave anomalia, rappresentando una disparità di trattamento cui va posto rimedio subito.
Altra ingiustizia anomala riguarda i dottorati di ricerca che attribuiscono al conseguimento del titolo punti 12, scavalcando nelle graduatorie chi da anni lavora. Questi titoli devono valere solo in ambito universitario e non anche nelle scuole medie di primo e secondo grado.
Per dare forza ed essere ascoltati in fase di trattativa I sindacati confederali e autonomi devono avere una piattaforma comune ad accogliere quanto l’Unione Europea chiede da tempo, evitando le procedure d’infrazione con il pagamento di multe. Senza girarci attorno, fissando un dies a quo da cui far partire l’anzianità di servizio, per esempio cinque anni e cominciare ad assumere. Solo così il numero dei precari si riduce. in maniera significativa
Per non parlare dei corsi di abilitazione, gente disoccupata che deve pagare 2500 euro per conseguire un’abilitazione che dà solo l’accesso ai futuri concorsi. Assurdo! Questo dovrebbe valere per tutte le categorie della P.A.
Bandiscono ogni anno concorsi con posti in alcune classi di concorso che si contano sulla punta delle dita di due mani e a volte anche meno, rinviando sine die la soluzione.
In definitiva la soluzione è a portata di mano. La scuola ha bisogno di risposte, prima di tutto per il precariato, che va affrontato come indicato nella direttiva europea 70 del 1999, con la stabilizzazione per chi ha 3 anni di servizio. Necessita un doppio canale di reclutamento che permetta all’Italia di essere coerente con le richieste dell’UE contro l’abuso dei contratti a termine.
Il compito della politica è trovare soluzioni alla gente che ha fame e sete di lavoro. L’elettore non vota qualcuno in Italia come nel Parlamento europeo che lo rappresenti senza rispondere del proprio operato e rifiuta ormai chi ricopre solo per sbarcare il lunario.