Baby Reindeer
Lanciata da Netflix ad aprile 2024, Baby Reindeer ha da subito scalato la classifica delle serie più viste ed apprezzate dal pubblico streaming, grazie soprattutto ad un coraggioso atto di abbandono del suo ideatore. Infatti ciò che viene inciso su pellicola è un frammento del mosaico esistenziale di Richard Gadd, qui sceneggiatore, attore e reale protagonista della storia…una storia di stalking, di abuso, di un dolore a cui dare un’identità, come quella che costantemente cerchiamo per noi stessi.
Gadd ha il nome di Donny Dunn, un ragazzo di quasi trent’anni che si trasferisce a Londra con il sogno di fare il comico e che, per mantenersi, lavora come cameriere dietro il bancone di un pub. Un giorno dall’altra parte si siede Martha (Jessica Gunning), una ragazza grassottella e con occhi gonfi di veterana tristezza. Nonostante sia un sedicente avvocato dall’agenda carica di nomi importanti, non ha denaro per consumare nulla. La mano empatica di Donny le offre da bere, ed ecco che come un ingranaggio arrugginito lo sguardo ed il pensiero di lei ricominciano a scorrere, imboccando derive straripanti. Martha comincerà a sedersi lì tutti i giorni, gli scriverà centinaia di mail al giorno con un impeto sgrammaticato, seguirà i suoi passi, i suoi spettacoli, la sua vita intima e familiare, avvicinandosi sempre di più alla quotidianità di uno sconosciuto che in un istante diventa l’amore di tutta una vita.
La serie comincia con Donny che vuole denunciare Martha sei mesi dopo l’inizio delle molestie. La domanda del poliziotto, così come la nostra, sarà “perché ha impiegato tutto questo tempo?” Ed è proprio questo il fulcro. Chi è Martha? Denunciarla cosa avrebbe significato per lui? Ne era davvero una vittima? Vedremo un Donny reticente, recidivo, passivamente attivo in questo gioco di ruoli senza regole. Cosa ha innescato in lui quella donna con le sue ossessive attenzioni ed estreme adulazioni? La pressante e pesante iperpresenza di Martha sarà per noi invadente e disturbante, ma non per Donny, o almeno, non del tutto. Martha è l’offerta di tutto ciò che a lui è mancato: parole da sovrascrivere all’insicurezza, sguardi testimoni della sua presenza agli altri, lusinghe che rigonfiano virilità. Ne diventerà in qualche modo dipendente, in maniera tossica…ancora una volta…la voglia di affermazione lo ha reso di nuovo un pupazzo nelle mani di un ventriloquo, senza il quale avverte solo un corpo inanimato.
L’impianto innovativo nell’affrontare tali flagelli sociali e sociopatici sta nell’assenza di un ovvio approccio compassionevole per la vittima, dirottando la violenza nella mente di lui, dove la nube che offuscava ricordi e repellenze, si dirada e diventa un tornado che riduce in macerie quelle poche (falsate) certezze assunte come antibiotici di un’infezione nascosta, ma che divora. Il nemico, se occulto, è più difficile da scovare e sconfiggere; è un germe che si muove silenzioso, che renderà Donny sconosciuto a se stesso.
Attraverso un plot autobiografico ed una voce auto-narrante di tipico stampo teatrale, il personaggio ci permette di assistere a questa guerra personale, fatta di laceranti incertezze, sprazzi di immaginata consapevolezza, attimi di rivincita ed esaltazione stuprati dalla voglia di sentirsi visto dal mondo.
Questo viaggio interiore, raccontato e vissuto con tempi così veloci quasi da annullarsi a vicenda, lo percorriamo a ritroso con gli occhi, le parole e gli spasmi intimi e celebrali di lui, in assenza di quei filtri che lo spettacolo richiede ma la propria pelle no. La regia di Weronika Tofilska e Josephine Bornebusch non abbandona la (cine)presa, puntando spesso a primi piani in grado di perforare quei volti dagli occhi che cambiano costantemente luce e consistenza: prima lucidi, poi spenti…prima leggeri poi densi di lacrime e rabbia.
Grazie alla scrittura che rigetta virtuosismi cinematografici, alla regia attenta e concentrata, alle musiche che fanno da risonanza alle emozioni, questa serie ci porge un regalo…Ci chiama, ci chiede di non imbavagliare quella parte di noi disagiante.
Entreremo in contatto con il nostro buio, quello che decreta inconsapevolmente le nostre scelte, le nostre relazioni e reazioni; quel nostro pane quotidiano che ci tiene in vita, ma che ci avvelena giorno dopo giorno. Come Donny potremmo trovare il coraggio di esorcizzarlo, scacciarlo dal petto per ridare al cuore il giusto ritmo cardiaco.
Riavvolgiamo il nastro per ascoltarci meglio…perché dietro una storia c’è tutta un’altra storia.