Il Volto della Corda a Padova
In un precedente articolo ho parlato di Palazzo della Ragione, antico luogo di giustizia.
All’inizio del Duecento, il Salone, come viene chiamato oggi, era il luogo in cui risiedevano i tribunali e gli uffici finanziari cittadini che avevano il compito di regolamentare i commerci e le trattative sia nel pianterreno che nelle piazze circostanti.
Al suo interno vi erano numerosi affreschi ricchi di simbologie filosofiche e religiose, che supportavano i cittadini analfabeti e li aiutavano a riconoscere il luogo di discussione della propria causa. Ogni avviso di comparizione, infatti, riportava l’iconografia corrispondente ad uno degli affreschi.
Insomma, non c’era modo di farla franca!
Al di sotto del tribunale, in quello che oggi viene chiamato “sotto il Salone”, nel 1277 prese forma il “Volto della Corda”. L’esatta collocazione è all’interno dell’arcata tra Piazza della Frutta e Piazza delle Erbe.
Il “Volto della Corda”
Naturale collegamento tra Palazzo della Ragione e l’antico Palazzo del Consiglio, fu costruito demolendo parte della Torre Rossa, da cui un tempo pendeva una gabbia dove erano rinchiusi i colpevoli di atroci delitti destinati a pene capitali. Il passaggio si eleva su una grande arcata costruita in cotto e pietra.
Il nome deriva dai “tratti di corda”, ovvero le frustrate con le quali i bugiardi, gli imbroglioni, i debitori insolventi venivano colpiti sulla schiena.
Poco più in là, davanti alla “Scala degli Osei”, sorgeva il “Canton dee Busìe” (l’angolo delle bugie), dove si incontravano i commercianti e si tenevano le aste e le vendite.
Colui che faceva un uso scorretto delle unità di misura veniva portato al Volto con le mani legate ed appeso ad una delle corde collocate sotto l’arco attraverso delle mensole, e le sue proprietà venivano messe all’asta.
Ci volle l’intervento del frate Antonio (il Santo) affinché la pena fosse commutata: i criminali furono obbligati, però, ad esporsi in camicia e mutande (da cui il detto “restar in braghe di tela”) su un sedile di porfido detto Pietra del Vituperio collocata all’interno di Palazzo della Ragione, ripetendo tre volte la formula cedo bonis (“cedo i miei beni”) davanti ad almeno cento persone, per poi lasciare la città ed essere costretti all’esilio.
Inoltre, se il debitore fosse rientrato senza il consenso dei creditori, sarebbe stato nuovamente costretto a sedere sulla Pietra del Vituperio e in più gli sarebbero stati gettati addosso tre secchi d’acqua.
Le corde, però, non furono tolte: rimasero appese ai cinque anelli del Volto della Corda come monito per chiunque fosse malintenzionato e scorretto, assieme agli infissi nel muro del Volto per ricordare ai venditori di essere onesti nelle contrattazioni.
A tutt’oggi, poi, è possibile scorgere le misure scolpite nella parete dell’arco con lo scopo di essere un monito e di impedire le frodi ai danni dei consumatori. L’incisione fu voluta, infatti, dalle autorità comunali per permettere un rigoroso controllo delle quantità e delle misure delle merci che i commercianti si scambiavano in centro a Padova.
Le antiche unità di misura padovane
Fondamentalmente, le misure maggiormente usate erano:
- Il “copo”: si trattava di una tegola per misurare la farina,
- lo “staro”, invece, serviva a misurare le granaglie,
- il “quarelo” era utile a misurare le dimensioni del mattone,
- il brazzo o brazzolaro, ossia il “braccio”, serviva per misurare la stoffa.