Ripley
La serie Netflix su uno dei personaggi più enigmatici della letteratura cinematografica.
Tom Ripley è un personaggio talmente complesso da ispirare registi e sceneggiatori da oltre 50 anni. Nato nel 1955 dalla penna della scrittrice Patricia Highsmith, è apparso sullo schermo già nel 1956 in un episodio della serie Westinghouse Studio One e poi nel 1960 in Delitto in pieno sole di René Clément con il volto del compianto Alain Delon. Ma è nel 1999 con Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella che raggiunge l’apice della sua fama, grazie anche ad un giovane Matt Damon che riuscirà a definire i contorni di un personaggio che rifugge ogni definibile prevedibilità.
Ebbene, Ripley è tornato, questa volta interpretato da Andrew Scott (Sherlock, Estranei), grazie alla miniserie Netflix scritta e diretta da Steven Zaillian, conosciuto soprattutto in chiave di sceneggiatore, grazie a film come Gangs of New York, American Gangster, The Irishman e Schindler’s List, con cui ha vinto l’Oscar nel 1994. La storia è un viaggio geografico ed umano dove Scott riesce a congelare la naturale suscetti all’emozione in un fermo espressivo enigmatico e complesso, ma con cui si entra in empatia grazie ad un maggiore spazio temporale dedicato al background del protagonista, che in qualche modo, ne permette l’assoluzione. Nella scena la presenza anche in sua assenza è continua, affiancando più che degnamente il resto del cast che vede tra gli altri Dakota Fanning (Ocean’s 8, C’era una volta a Hollywood), Jhonny Flynn, Margherita Buy, Maurizio Lombardi (scelto anche da Sorrentino nelle serie The Young Pope e The New Pope), e men che meno John Malkovich.
Ma chi è Tom Ripley? O almeno, chi era prima di diventare i suoi stessi mille volti. Siamo negli anni ’60, e in una New York da rincorrere per non finire tra gli ultimi, Tom sceglie la sua strada, conscio che l’unica arma per sopravvivere sia la propria arguzia. E’ un truffatore, non uno di quelli impacciati, improvvisati e dalla carriera breve, ma uno dal sistema ben collaudato. Un giorno accade che quello diventi il SUO giorno, quando viene ingaggiato dai genitori di Dickie Greenleaf, interpretato da Johnny Flynn (La nave sepolta, One Life), un giovane rampollo dell’alta borghesia, che sta trascorrendo le sue giornate ad Atrani, un paesino della costiera amalfitana, in cerca di un’ispirazione artistica ed esistenziale. Il suo compito, dietro compenso e rimborso spese, è quello di raggiungerlo e convincerlo a tornare a casa. Tom parte con la visione di un affare da prendere al volo, ma al suo arrivo in Italia, di fronte ad una realtà che nemmeno la miseria lascia sognare, capisce di averne abbastanza: quei luoghi gli mostrano che esiste altro, che una città non deve essere una prigione, che si può essere ammirati piuttosto che commiserati. Ed ecco che i fumi di una metropoli si disperdono in un’aria che profuma del blu del mare, che le pareti incrostate di un seminterrato si trasformano in colonne lattee dalle linee seducenti, che un’opera d’arte squarcia la rassegnazione allo squallore.
Steven Zaillian, con una spiazzante cura dei dettagli rielaborati in chiave estetica, riesce a fondere atmosfere noir con la suspence tipica di un thriller hitchcockiano, attraverso un primo piano narrativo sulla continua metamorfosi mimica ed intima del protagonista, costretto ad un continuo sforzo ascensionale attraverso scalate sfiancanti che lo stritolano in un vortice vertiginoso che rischia di riportarlo al punto di partenza.
Attraverso la fotografia in bianco e nero del premio Oscar Robert Elswit, premiata agli ultimi Creative Emmys Awards, sono rare le possibilità di distrazione dai personaggi, nonostante l’appagamento visivo di fronte a scorci di un’Italia anni ‘60 dalla imperativa bellezza, che accresce il suo potere attrattivo attraverso la voce suadente di una Mina che serpeggia inebriante tra le stanze di ville rese musei a porte chiuse, dove riescono a convivere la luce dell’incanto e l’oscurità della menzogna, dove un Caravaggio può diventare l’autoritratto di un uomo in cerca di un volto.
Tom ha assaporato lo stato di placida incoscienza indotto da una dimensione stupefacente, e già dalla prima dose ne diventa dipendente. Un’eccitazione a cui non vuole rinunciare, e per questo, come in un continuo stato di astinenza, cambia pelle, maschera, identità, in un vortice di morte e rinascita, di violenza e beatitudine.
E’ un’anima errante in un girone dantesco, infernale per la coscienza ma paradisiaco per lo spirito.