I molti fronti di Tel Aviv
di Raffaele Gaggioli
Un’escalation del conflitto in Medio Oriente sembra oramai inevitabile. I tentativi del presidente americano Joe Biden di negoziare un cessate il fuoco tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza non sembrano aver prodotto alcun risultato, mentre le forze armate di Tel Aviv hanno già aperto un nuovo fronte militare contro il Libano.
I motivi di questo fallimento sono molteplici. Dopo essersi ritirato dalla corsa alla Casa Bianca, Joe Biden ha oramai perso molta della sua già scarsa influenza su Israele. Allo stesso tempo, la sua amministrazione è stata criticata per aver continuato a sostenere militarmente e diplomaticamente Tel Aviv, nonostante le proteste della comunità internazionale e di parti del governo americano.
Il primo ministro israeliano Netanyahu sembra inoltre sperare che un’escalation del conflitto permetterà a Donald Trump, candidato più favorevole ai suoi interessi, di vincere le prossime elezioni presidenziali americane.
Ovviamente, questa escalation è stata dovuta anche alle azioni dei nemici di Israele. I continui bombardamenti contro lo Stato ebraico da parte di Hezbollah, gruppo terroristico sostenuto da Teheran, avevano reso un’eventuale invasione israeliana del Libano quasi inevitabile.
Buona parte del Medio Oriente favorisce inoltre la distruzione del gruppo terroristico, in quanto l’Iran è ritenuta un nemico più pericoloso di Israele. Molti stati arabi hanno quindi vietato qualsiasi dimostrazione pubblica a sostegno di Hezbollah e non hanno protestato in alcun modo relativamente all’uccisione di molti leader del gruppo libanese.
Nonostante la quasi totale indifferenza di molti degli stati confinanti, la repubblica islamica d’Iran rimane comunque un’incognita pericolosa per la sicurezza di Israele e la stabilità dell’intero Medio Oriente. La guerra di Israele contro Hamas ed Hezbollah sta infatti gravemente danneggiando l’Asse della Resistenza, la fitta rete di alleanza che Teheran ha formato con diversi gruppi terroristici in modo da circondare militarmente Tel Aviv.
Teheran sa di non poter vincere un conflitto diretto con Israele e gli Stati Uniti. Tuttavia, lasciare che Tel Aviv distrugga questi gruppi terroristici senza alcuna conseguenza sarebbe una grave sconfitta strategica e propagandistica per il regime iraniano.
Questa situazione contraddittoria spiegherebbe l’attacco missilistico di Teheran contro Israele dello scorso 2 ottobre. Da un lato, la maggior parte dei missili sono stati intercettati dalle difese israeliane e non sembrano esserci state vittime.
Dall’altro lato, alcuni dei missili non sono stati intercettati e hanno colpito alcune basi militari di Tel Aviv. Anche se il governo israeliano nega che ci siano stati danni significativi, il successo di questi attacchi dimostra che le sue difese aeree non sono infallibili.
Dato che Israele ha già annunciato che punirà l’Iran per quanto successo, forse bombardando le sue infrastrutture per l’estrazione del petrolio, l’aperta ostilità tra i due Paesi sembra destinata a non fermarsi.
Anche senza un conflitto diretto con l’Iran, molti si domandano comunque se Israele sarà effettivamente in grado di vincere i numerosi conflitti in cui si trova attualmente invischiato. Nonostante le numerose vittorie militari, Tel Aviv non ha infatti ancora ottenuto l’agognata “vittoria totale”, ossia la completa eliminazione dei suoi nemici.
In Gaza, dove oramai è impossibile calcolare il numero di vittime a causa della distruzione del sistema sanitario della Striscia, trovare gli ostaggi israeliani ancora in vita o almeno i loro cadaveri si sta rivelando più difficile del previsto.
L’apertura di un nuovo fronte nel sud del Libano ha poi costretto le forze armate israeliane a trasferire parte delle loro truppe e mezzi lontano da Gaza, complicando ancora di più la situazione militare di Tel Aviv. Inoltre, alcuni osservatori internazionali hanno sottolineato che Israele non sembra avere un chiaro obbiettivo militare per la sua invasione del sud del Libano.
Secondo il ministero della difesa israeliano, l’obbiettivo principale è respingere Hezbollah al di là del fiume libanese Litani in modo da garantire la sicurezza della Galilea e delle altre regioni settentrionali di Israele. Tuttavia, il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir e gli altri alleati di estrema destra di Netanyahu hanno più volte avanzato l’idea di occupare militarmente la zona e, addirittura, annetterla direttamente.
La mancanza di chiari obbiettivi militari e l’aperta ostilità di molti libanesi contro Israele, indipendentemente dal loro credo religioso, rischia quindi di trasformare questa operazione in una lunga ed inutile occupazione militare di queste regioni (come già successo nel 1982 e 2006).
Per ora, Tel Aviv non sembra comunque preoccuparsi di questi problemi. I massicci bombardamenti israeliani contro Beirut vanno avanti indisturbati da giorni, colpendo sia i quartieri mussulmani sia quelli cristiani della capitale libanese. Per ora, nulla sembra quindi poter impedire a Tel Aviv di espandere le sue operazioni militari ben al di là del Litani.
Raffaele Gaggioli