Le nostre fragilità in un Occidente debole e impotente

Le nostre fragilità in un Occidente debole e impotente

Le fragilità dell’Occidente, in un tornante della storia mai così debole e incapace di iniziative concrete di pace, è sotto gli occhi di tutti. L’anniversario del 7 ottobre ha visto Israele all’offensiva e i popoli della regione stremati da un anno di guerra, senza nessuna prospettiva di pace all’orizzonte.

Chi ha pianificato il massacro di un anno fa aveva un doppio scopo, quello di mettere a ferro e fuoco la Cisgiordania per prenderne il potere, è quello di provocare una risposta talmente dura da parte di Israele, da isolarlo nel mondo, sia politicamente che nell’opinione pubblica, fatto quest’ultimo gravissimo perché mai accaduto in precedenza.

Il primo obiettivo è fallito perché Hamas non ha preso il potere, anzi si parla di 50mila morti nella sola Gaza perché si è fatta scudo dei civili, un vero massacro. Il secondo obiettivo è stato raggiunto, invece, perché al successo militare con la decapitazione di Hezbollah, si è accompagnato l’isolamento politico di Israele.

Anche la causa ucraina comincia a non reggere più, di fronte a più di una obiezione che si manifesta, sia a destra che a sinistra: forse è meglio accontentare Putin e finirla con la guerra.

Questo dimostra l’impotenza e la fragilità dei governi democratici del mondo occidentale, in un momento storico caratterizzato dalla incapacità di prendere le decisioni migliori per risolvere le crisi internazionali che si succedono ad una velocità impressionante.

L’America attende il verdetto del 5 novembre, polarizzata come non mai, spaccata in due metà che si equivalgono: i democratici prenderanno più voti ma rischiano di perdere la Casa Bianca per poche migliaia di voti in tre Stati incerti sulla scelta.

In Francia, la storia politica di Macron è agli sgoccioli, anche se mancano due anni alla presidenziali; ha salvato la faccia al secondo turno delle legislative, alleandosi di fatto con la sinistra, per poi fare un governo con la destra di Marine Le Pen. Una cosa è certa, sarà difficile chiamare il popolo alle urne per sbarrare il passo al “fascismo” che avanza e ciò potrebbe significare la vittoria della Le Pen e la fine dell’Europa.

A Bruxelles, la Commissione di Ursula Von der Leyen non sembra destinata ad avere vita facile, perché l’intento programmatico è quello di frenare l’ascesa dell’estrema destra che governa a Budapest, è il primo partito in Austria e cresce in tutti i lander tedeschi.

Sembrerà un paradosso, ma il vero punto debole dell’Europa è proprio il Paese che sembrava la guida più affidabile. Il cancelliere Scholz è visto come un vero disastro dal suo stesso partito che pensa di sostituirlo in vista delle prossime elezioni, che saranno vinte con ogni probabilità da una CDU molto diversa da quella della Merkel, perché meno disposta al debito comune, alla solidarietà europea, alla costruzione dell’Unione.

Se a quanto detto si aggiunge il solo voto di maggioranza che permette al governo Sanchez di andare avanti e, in ultimo, il governo del laburista Starmer, che dopo solo nove settimane e mezzo è tra i più impopolari della storia inglese, si potrebbe pensare che essere una democrazia è uno svantaggio e che le autocrazie funzionino meglio perché rispecchiano la volontà del popolo.

Nulla di più errato. Tuttavia questo è quello che pensano in molti e dimostra la fragilità del nostro Occidente che, però, resta la migliore parte del mondo, proprio perché è la migliore democrazia che ci sia.

Purtroppo siamo portati a dimenticare che se alla democrazia non si daranno gli strumenti per prendere decisioni, affrontare al meglio i problemi delle persone e intervenire nelle crisi internazionali, sarà in pericolo e sarà difficile salvarla.

 

Angela Casilli

Redazione

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