Luigi pirandello

Luigi pirandello

Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano”, – Uno, nessuno e centomila -. 

Da queste brevi, ma intense righe, s’alza il sipario sul brillante scrittore del Novecento; nato nel 1867 a Girgenti (attuale Agrigento), che lascerà per trasferirsi a Palermo, nel 1886, in modo da iscriversi alla facoltà di Lettere proseguita successivamente nell’università di Roma. La quale rappresentò soltanto un’altra tappa, causa copiose divergenze con il rettore dell’ateneo, prima di raggiungere la destinazione dove concluderà i suoi studi, Bonn. Germania. Fu in successione al conseguimento della tesi che lo scrittore intraprese la sua carriera nel mondo dell’insegnamento e della scrittura.

 

Prime di tutte furono delle raccolte in versi, “Mal giocondo, “Pasqua di Gea”; raccolte che ricoprirono differenti campi tematici, ma congiunti dalla medesima struttura dei grandi poeti romantici dell’Ottocento, i quali furono di grande ispirazione per Pirandello. In successione a queste scritture, minori, se così si possono chiamare, perché pur sempre caratterizzate da un’intensa notorietà; lo scrittore, nel 1903, affronterà un importunante avvenimento: l’allagamento della zolfara di famiglia, per mezzo d’una frana. Ebbe gravi riscontri sulle finanze ma soprattutto sulla psiche di Maria Antonietta (moglie dello scrittore). La quale rimase perennemente perturbata dallo shock, portandola a cadere in una grave forma di malattia mentale.

Questo avvenimento libererà le idee sulla relazione uomo-psiche, psiche-società, che sempre aleggiavano nella mente di Pirandello, portando alla stesura d’uno dei suoi capolavori, “Il fu Mattia Pascal”, – Fremevo. Finalmente il treno s’arrestò a un’altra stazione. Aprii lo sportello e mi precipitai giù, con l’idea confusa di fare qualche cosa, subito: un telegramma d’urgenza per smentire quella notizia -.  – Il salto che spiccai dal vagone mi salvò: come se mi avesse scosso dal cervello quella stupida fissazione, intravidi in un baleno… ma sì! la mia liberazione la libertà una vita nuova! -. Opera nella quale viene racchiusa l’intera filosofia dello scrittore; l’Inettitudine d’un uomo singolare, incapace d’adattarsi, mescolarsi alle regole e ipocrisie della società nella quale vive; talmente asfissiante da portare Mattia Pascal, altro non è che lo specchio di qualsiasi uomo o donna inabile nell’assorbire e rendere propria – L’Identità Sociale -, a fuggire dalla sua gabbia.

Un’altra delle tematiche centrali. Se non la più importante, la quale da avvio a quest’articolo. Del pensiero pirandelliano, sempre contenuta all’interno del romanzo, riguarda le Maschere: le quali vengono affrontate soltanto sotto l’argomentazione della menzognera identità dell’individuo, “Adriano Meis”, nel caso del romanzo. Che sorretta sul vuoto sociale (personale denominazione d’un elemento slegato dalle catene, ma allo stesso tempo, colonne della società), porterà all’inevitabile sgretolamento della stessa; soltanto successivamente, attraverso novelle – La Carriola -, per poi brillare nel successivo capolavoro “Uno nessuno e centomila”, Pirandello esaminerà completamente il concetto delle maschere, non solo come fuga verso una nuova vita; ma come una forza alla quale ogni essere umano è costretto a soccombere, privo della speranza di poter possedere un volto, o semplicemente una singola personalità (maschera). Perché “Uno” risulta soltanto l’illusoria convinzione di disporre d’un unica personalità; “Centomila” rappresenta la reale coesistenza – ma non la veritiera personalità -; di infinite maschere quante sono le persone che c’osservano e ci giudicano. E in fine “Nessuno” che mostra la più autentica rappresentazione umana: l’inesistenza di qualsiasi personalità primordiale. Concetto precedentemente anticipato nello scritto “La crisi del io” che compose nei primi anni del Novecento, dove espresse ciò che ritroveremo nel romanzo sopra citato (pubblicato diversi anni dopo), ossia la frammentazione dello spirito che ogni volta si associa e assembla in modo differente ottenendo così svariate personalità e visioni della vita.

di Lorenzo Forciniti

Redazione

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