Violenza psicologica: quando le parole lasciano il segno

Violenza psicologica: quando le parole lasciano il segno

Quando si parla di violenza si pensa subito ai maltrattamenti fisici, ma esiste anche una violenza ancora più subdola in cui il persecutore si nasconde dietro le parole. Almeno 1 donna su 2 in Europa è stata vittima di violenza psicologica, in America quasi la metà delle donne (48.4%), e degli uomini (48.8%) subiscono aggressioni psicologiche da parte di un partner intimo nel corso della loro vita. Questo genere di abusi possono avvenire in qualsiasi contesto sociale, da parte di qualsiasi persona attorno a noi. Ma quando le parole e i comportamenti si possono considerare una vera e propria violenza psicologica? Questo genere di violenza viene definita come un insieme di atti, parole, minacce, e intimidazioni utilizzate come strumento di costrizione e di oppressione, per obbligare gli altri ad agire contro la propria volontà.

Dunque la violenza psicologica rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria forma di maltrattamento. A differenza della violenza fisica però, la violenza psicologica purtroppo può rimanere celata, o essere sottovalutata. La violenza psicologica può presentarsi in diversi modi: offese, che vanno a ledere l’autostima della persona offesa, sotto forma di minacce, sotto forma di umiliazione in cui la vittima viene umiliata e ridicolizzata in pubblico dinnanzi ad amici e parenti, o avvenire anche quando la vittima e il carnefice si trovano da soli. La persona vittima di tale violenza vede anche ridicolizzati i suo hobby, vede sminuiti i suoi successi e i suoi interessi, ma anche i suoi bisogni psicofisiologici. Viene considerata violenza anche ricevere insulti o commenti sprezzanti sul proprio aspetto fisico, sul proprio modo di vestire, di parlare, di comportarsi, di camminare, di mangiare. Vessare continuamente e costantemente una persona con frasi come: “Sei stupido/a”, “Sei un fallito/a”, “Sei grasso/a”, “Non vali nulla”, “La colpa è solo la tua”, rappresenta a tutti gli effetti una forma di violenza psicologica, che porta la persona che ne è vittima a percepire un senso di colpa. Chi esercita la violenza psicologica viene definito come cinico, in quanto il cinismo è l’indifferenza totale ai sentimenti e ai valori sociali delle altre persone. Chi subisce tale violenza può sviluppare nel tempo un trauma psicologico che può includere: ansia, depressione, insicurezza, paura, e può perfino sviluppare una predisposizione ad avere reazioni aggressive.

In molti casi si arriva anche a sviluppare disturbi psicosomatici come: gastriti, coliti, malattie della pelle e molto altro. Spesso accade che le vittime non riescono a riconoscere o ad ammettere di star subendo una violenza, e questo spiegherebbe il motivo per cui può risultare difficile allontanarsi dal proprio vessatore. Come citato precedentemente questo tipo di comportamento può presentarsi in un qualsiasi contesto sociale come ad esempio al lavoro, da parte di un superiore ai propri subordinati, in famiglia da parte dei genitori, fratelli, nonni e amici. Da un punto di vista psicoanalitico la violenza che si infligge agli altri rispecchia la violenza che si è vissuta durante la propria infanzia. Gli atteggiamenti violenti che sono stati osservati e appresi da queste persone diventate con il tempo dei vessatori, sono ritenute reazioni del tutto normali. Per esercitare un tipo di violenza verbale non occorre alzare la voce, ma molte volte l’aggressore ha un atteggiamento pacato, apparendo anche benevolo e ciò rende questo tipo di condotta difficile da catalogare come “aggressiva” o “violenta”.

Il silenzio, il rifiuto di riprendere una conversazione,  ignorare i messaggi e le telefonate di una persona sono anch’esse una forma di violenza psicologica, che portano a non avere un confronto tra il vessatore e la vittima, attuando su quest’ultima una manipolazione di abuso emotivo. La vittima non ha modo di difendersi, non le viene dato il modo di esprimere come si sente e ciò che pensa, portandola a sentirsi manipolata, esclusa, sbagliata, e a porsi molte domande. Ciò che è importante, sebbene non sia facile è riuscire a identificare questi atteggiamenti tossici e malsani, cercando di non giustificare determinati comportamenti soltanto perché attuati molto spesso da persone a noi care e vicine. Cercare di allontanare persone che fanno star male gli altri è il primo passo verso la guarigione. Cercare aiuto non è una forma di debolezza, bensì di una profonda consapevolezza di sé e degli altri.

Diletta Guarnacchia

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Redazione

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