I Cavalieri nella realtà del XXI Secolo

Pier Felice degli Uberti 

Quando uso la parola “Cavaliere” faccio molta attenzione al contesto in cui la scrivo, se ci penso mi sembra proprio di usare un termine obsoleto che richiama alla memoria una civiltà legata ad un mondo che non esiste più. L’importanza di una civiltà è legata a quanto si conserva di essa, e bisogna considerare che di norma conserviamo solo quello che merita di essere conservato. La nostra società moderna ha a disposizione innumerevoli indicazioni di come oggi vive la maggior parte del genere umano, mai io credo che essere moderni significa anche essere liberi dalle limitazioni legate a contingenze immediate, come eventi catastrofici, guerre o crisi economiche per lasciare traccia di sentimenti e valori.

Non è per nulla facile spiegare obiettivamente ed onestamente che cosa è il Cavaliere, perché il termine non è qualcosa di statico, ma assume connotazioni diverse nello scorrere dei vari secoli della storia.

Nel Medioevo, il cavalierato era strettamente legato all’equitazione (e soprattutto ai tornei) e dalle sue origini nel XII secolo fino alla sua fioritura finale era una moda tra l’alta nobiltà, particolarmente nel XV secolo. Cavaliere era quell’uomo insignito del cavalierato, da parte di un monarca, vescovo o altro capo politico o religioso, che svolgeva la sua attività come servizio del monarca o della chiesa cristiana, particolarmente in campo militare. Dobbiamo ricordare che storicamente, in Europa, il cavalierato era conferito a guerrieri a cavallo, che nell’Alto Medioevo erano considerati quella classe sociale che rappresentava la bassa nobiltà.

 

LArciduca Karl  d’Asburgo Loredana Sovrano dell’Ordine del Toson d’Oro e Pier Felice Degli Uberti

Poi nel Basso Medioevo l’essere cavaliere significava essere una persona associata a ideali di cavalleria e codice di condotta da perfetto guerriero cristiano di corte.

Ricordiamo che molte volte un cavaliere era un vassallo che prestava il suo servizio come combattente, guardia del corpo o mercenario ad un signore, pagato con la concessione di proprietà terriere. I cavalieri abili nella guerra a cavallo garantivano un ottimo servizio di fiducia al signore; infatti questo legame si riflette nell’etimologia di cavalleria, cavaliere e termini correlati.

Gli ideali della cavalleria erano diffusi nella letteratura medievale, in particolare nei cicli letterari noti come Ciclo carolingio, relativi ai leggendari compagni di Carlo Magno e ai suoi armigeri paladini e Ciclo di Bretagna, relativo alla leggenda di re Artù e alla sua Tavola Rotonda. Sebbene lontanissimi nella forma e nella sostanza dal lontano Medioevo, oggi continuano ad esistere un certo numero di ordini cavallereschi nelle chiese cristiane, particolarmente in diversi Paesi cristiani e nei loro precedenti territori, come lo sono ad esempio il cattolico Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, il Sovrano Militare Ordine di Malta, il protestante Ordine di San Giovanni, l’inglese Ordine della Giarrettiera, lo svedese Ordine dei Serafini e l’Ordine Reale Norvegese di Sant’Olav.

Ogni ordine cavalleresco ha i propri criteri di ammissibilità, ma il cavalierato è generalmente concesso da un capo di Stato, monarca o prelato a persone selezionate, per riconoscere qualche risultato meritorio, come nelle onorificenze britanniche, francesi, italiane, e spesso per il servizio prestato alla Chiesa o alla Nazione. Non dimentichiamo il corrispondente termine femminile identificativo che è quello di Dama. Trattandosi di una tematica amplissima non è possibile approfondire le diverse nature degli ordini cavallereschi ma desidero trattare a sommi capi la loro evoluzione storica.

Nel XII secolo la cavalleria fu un rango sociale, con una distinzione tra “milites gregarii” (cavalieri non nobili) e “milites nobiles” (veri cavalieri). Importante è affermare che se un cavaliere medievale che andava in guerra sarebbe stato automaticamente un uomo d’arme, non tutti gli uomini d’arme erano però cavalieri.

I primi ordini militari di cavalierato furono quelli dei Cavalieri Ospitalieri e del Santo Sepolcro, entrambi fondati alla Prima crociata del 1099, seguiti dai Cavalieri di San Lazzaro (1100), dai Templari (1118) e dai Teutonici (1190), che nel momento della loro fondazione, erano tutti intesi come ordini monastici, i cui membri avrebbero agito come soldati a protezione dei pellegrini.

Solo nel secolo XIII, dopo la conquista della Terra Santa e l’esistenza degli Stati Crociati, gli ordini divennero potenti e di grande prestigio. I cavalieri dovevano combattere con coraggio, professionalità e cortesia militare. Il libro della cavalleria di Raimondo Lullo (1275) dimostra che alla fine del XIII secolo la cavalleria comportava una serie di compiti molto specifici, tra cui cavalcare in battaglia, partecipare a giostre, frequentare tornei, partecipare alla Tavola Rotonda e cacciare, aspirando alle più eteree virtù di “fede, speranza, carità, giustizia, forza, moderazione e lealtà”.

Fu il clero nei secoli seguenti ad istituire i voti religiosi che richiedevano ai cavalieri di usare le loro armi principalmente per la protezione dei deboli e degli indifesi, in particolare delle donne e degli orfani e della chiesa. Il post Crociate vide gli ordini militare idealizzati e romanticizzati, tanto da essere trattati nei romanzi arturiani, inoltre l’invenzione di nuovi ordini cavallereschi divenne una moda tra la nobiltà nel XIV e XV secolo, per riflettersi ancora oggi nei sistemi di onorificenze contemporanee degli Stati che continuano ad usare il termine di “Ordine”.

È importante fare una breve elencazione di queste istituzioni: Ordine di San Giorgio, fondato da Carlo I d’Ungheria nel 1325/1326; Ordine Supremo della Santissima Annunziata, fondato dal conte Amedeo VI di Savoia nel 1346; Ordine della Giarrettiera, fondato da Edoardo III d’Inghilterra intorno al 1348; Ordine del Drago, fondato da re Sigismondo di Lussemburgo nel 1408; Ordine del Toson d’oro, fondato da Filippo III di Borgogna nel 1430; Ordine di San Michele, fondato da Luigi XI di Francia nel 1469; Ordine del Cardo, fondato da re Giacomo VII di Scozia (noto anche come Giacomo II d’Inghilterra) nel 1687; Ordine dell’Elefante, fondato per la prima volta da Cristiano I di Danimarca, ma poi nell’attuale forma da Cristiano V di Danimarca nel 1693 e l’Ordine del Bagno, fondato da Giorgio I di Gran Bretagna nel 1725.

A partire dalla metà del secolo XVI, furono istituiti ordini puramente onorifici, come modo per conferire prestigio e distinzione, senza essere legati al servizio militare e alla cavalleria in senso stretto, ordini particolarmente apprezzati nei secoli XVII e XVIII; anche nella nostra epoca il cavalierato continua ad essere conferito nella quasi totalità delle Nazioni.

Il XX secolo è stato il secolo che ha visto stravolgimenti importanti che hanno modificato le forme istituzionali degli stati trasformandoli da monarchie in repubbliche. Ancora oggi come sappiamo le superstiti monarchie e la quasi totalità delle repubbliche seguono questa pratica. Oggi gli ordini di merito sono generalmente riconosciuti per i servizi resi alla società. La grande trasformazione in ordini di merito la dobbiamo a Napoleone I, che lasciò da parte gli ordini conferiti per nascita in famiglie nobili, per passare a ordini intesi come sistemi di merito personali con la costituzione dell’Ordine della Legion d’Onore, copiato poi da tantissime Nazioni.

Il XX secolo vide in Ungheria la nascita di un ordine che era un tutt’uno con quanto avveniva nel Medioevo, e intendo l’Ordine di Vitez, che veniva concesso ai militari partecipanti alla Prima Guerra Mondiale, e con l’Ordine veniva conferita anche la terra (come nelle investiture feudali) e il diritto successorio al primogenito maschio al compimento del diciassettesimo anno; un ordine che non concedeva il titolo di cavaliere ma quello supremo di Eroe, proprio perché combattente in guerra. Quindi inusualmente un ordine che creava una nuova “nobiltà” del XX.

Oggi questa eredità morale o meglio il richiamo ad essa la ritroviamo sotto altra forma in diverse istituzioni: oltre che nelle autorità pubbliche regionali, provinciali e cittadine, la vediamo anche in tante organizzazioni no profit, compresi i service club, ed in importanti fondazioni (ne cito solo due: il Premio Nobel e il Premio Oscar).

Fatto questo breve excursus dobbiamo visualizzare altre situazioni particolari, esistenti in Italia, dove a differenza delle altre Nazioni del mondo dove gli ordini cavallereschi del passato, non essendo più legati ad una Nazione, sono considerati come associazioni di persone, istituzioni no-profit spesso di beneficenza, che hanno piena validità pubblica. Come avete compreso sto alludendo ad alcuni ordini del patrimonio premiale degli Stati Preunitari, ovvero concessi dai diretti discendenti (detti Capi di Casa già Sovrana), che non hanno più una sovranità sulla Nazione che era governata dai loro antenati. Ultimamente fra queste persone che noi riteniamo dotate di una “sovranità affievolita” (mentre nella quasi totalità degli altri Stati del mondo sono considerati privati cittadini), hanno voluto autonomamente modificare le leggi dinastiche delle loro dinastie, o stravolgere gli statuti dei loro ordini dinastici, senza l’avallo, per quelli nati da Bolla pontificia, della Santa Sede.

È molto più facile a questo punto riproporre a voi lettori il mio recente editoriale «La “fons honorum” dei Capi di Case già Sovrane, se discendenti di Sovrani non abdicatari», apparso su Il Mondo del Cavaliere, novembre-dicembre 2023, n. 92: Furono i Congressi Internazionali di Scienze Genealogica e Araldica a cercare di rispondere ad un tema che si prestava alle più difformi interpretazioni, così i più importanti studiosi di scienze documentarie della storia del mondo, nella quasi totalità giuristi ed appartenenti a famose famiglie nobili facenti parte della Commissione Internazionale permanente per lo Studio degli Ordini Cavallereschi, nel 1962 stabilirono validi sei principi, riferendoli agli ordini cavallereschi, ma in grado di dare risposte anche all’araldica, genealogia, diritto nobiliare. Questi principi oggi sono considerati ancora validi dalla quasi unanimità degli studiosi di queste materie.

Se vogliamo dare una risposta al titolo di questo editoriale dobbiamo leggere il terzo principio che afferma: «è opinione di autorevoli Giuristi che gli ex-Sovrani non abdicatari – la cui posizione è diversa da quella di semplici “pretendenti” – serbino, vita natural durante, la loro qualità di “fons honorum” anche per quanto riguarda il gran magistero di quegli Ordini, cosiddetti di Corona, che altrimenti si potrebbero classificare fra quelli di Stato o di merito». Quindi è stato stabilito chiaramente che un ex-sovrano non abdicatario conserva vita natural durante la “fons honorum” posseduta quando era sul trono ed aveva valore a 360°, proprio perché quel “anche per quanto riguarda il gran magistero di quegli Ordini, cosiddetti di Corona…” significa pure per quanto valeva per la modifica delle leggi dinastiche e la concessione di onori anche nobiliari. Anche se la maggioranza degli studiosi si trovò d’accordo con il terzo principio, esistevano delle eccezioni, particolarmente se si trattava di sovrani costituzionali nel cui caso la fons honorum finiva al momento in cui si lasciava il trono per l’esilio. La Santa Sede e gli stati monarchici hanno continuato ad attribuire pubblicamente “per cortesia” quei trattamenti d’onore ai sovrani spodestati ed ai membri di quelle dinastie se nati durante l’esistenza della monarchia; se nati fuori dal trono ogni caso preso in considerazione è differente l’uno dall’altro.

Un tema che sollevava discussioni senza fine, a pro o contro della sopravvivenza della “fons honorum”, erano le numerose concessioni nobiliari effettuate dall’esilio da Umberto II, l’ultimo re d’Italia: ritenute valide dal Sovrano Militare Ordine di Malta, erano però considerate prive di valore dalle monarchie d’Europa. Ci tengo a sottolineare che la validità o la negazione della validità da parte di privati o di associazioni private che si interessano alla nobiltà lasciano il tempo che trovano, perché la Nobiltà è ed è sempre stata un onore di diritto pubblico reso valido ed esecutivo da parte di un sovrano o dall’autorità di uno Stato. Ora passiamo a trattare i Capi di Casa già Sovrana discendenti da sovrani non abdicatari spodestati, e rileggiamo il terzo principio già indicato sopra, dove si dice: «la cui posizione è diversa da quella di semplici “pretendenti”». Ovviamente la posizione di un discendente fuori dal trono e mai stato sul trono è differente da quella di chi è stato un vero sovrano, il che vuol dire che un semplice “pretendente” occupa ha una posizione diversa dal sovrano spodestato, ovvero è ancora il “proprietario” del patrimonio premiale della Casa già Sovrana cui appartiene, ma essendo privo di “fons honorum” lo può solo amministrare come un conservatore, con i limiti posti a chi amministra a solo scopo conservativo; senza dimenticare che quel patrimonio premiale è legato alle leggi vigenti al momento della caduta della dinastia, ed immodificabili dinasticamente, essendo il Capo di Casa già Sovrana privo di quella fons honorum che godeva il sovrano sul trono (o spodestato non abdicatario).

Quindi per quanto riguarda gli ordini cavallereschi un Capo di Casa già Sovrana deve limitarsi a conservarli così come li ha ricevuti. Certo può apportare modifiche agli statuti per renderli più adeguati alla sua epoca, ma non lì può stravolgere trasformando gli ordini da cavallereschi dinastici a semplici cavallereschi di merito, peggio ancora se poi sono sorti per bolla pontificia per la cui modifica e trasformazione è d’obbligo l’approvazione pontificia. E quindi cosa succede se il Capo di una Casa già Sovrana stravolge i suoi ordini cavallereschi modificando gli statuti? Dinasticamente non può farlo, perché privo di fons honorum, ma nulla vieta la trasformazione di un Ordine Cavalleresco in Sistema Premiale se fatta per ricompensare i sostenitori di un suo movimento politico (ne sono prova i carlisti spagnoli), o attuare rilevanti attività sociali e benefiche strettamente legate alla sua Casa Sovrana, ma (onde evitare le critiche di potenziali detrattori e invidiosi) deve dimostrare la realtà di vere azioni a carattere benefico-sociale con la pubblicazione dei bilanci che illustrino la situazione patrimoniale e finanziaria per sostenere tali iniziative.

Anche fra le famiglie non regnanti, si assiste già in tutto il XX secolo a matrimoni privi del rispetto delle leggi dinastiche congelate, tanto da causare importanti discussioni sulla validità dinastica di tali matrimoni; poi in questi ultimi dieci anni si assiste (con la giustificazione di seguire i principi della eguaglianza di genere) alla modifica delle leggi successorie riferite ad una Casa già Sovrana, dimenticando però che un conservatore non ha la fons honorum per modificare la legge di quella dinastia, proprio perché fuori dal trono, ma anche in questo caso possiamo giustificare tali cambiamenti privi di valore dinastico, spiegando che possono avvenire se il Capo di una Casa già Sovrana, modifica la legge successoria a scopo politico per rivendicare il trono degli antenati, o per attuare azioni sociali volte al raggiungimento di benefici attinenti i territori su cui regnavano gli antenati o azioni di beneficenza legate agli ordini dinastici, ma sempre documentando a scanso di critiche come verranno gestiti i fondi provenienti dalle attività del Capo di Casa già Sovrana.

In conclusione queste modifiche non influiscono sull’aspetto immutabile dinastico, ma trovano una valida giustificazione se si dà ad esse un chiaro valore politico. Ricordo che nella Repubblica Italiana l’ovvio concetto di “sovranità affievolita”, dedotto dal terzo principio della Commissione Internazionale permanente per lo studio degli Ordini Cavallereschi ha offerto la possibilità legale dell’autorizzazione all’uso degli ordini cavallereschi dinastici delle dinastie preunitarie italiane (vedi legge 3 marzo 1951 n. 178).

Desidero concludere questo breve excursus condannando quanto si vede ogni giorno sui Media dove privati cittadini scelgono assurdamente di dichiararsi discendenti di dinastie mai esistite nelle loro storia familiare, quando basterebbe loro fare un poco costoso esame di DNA genealogico per scoprire di avere un antenato ascendente comune con un grande della storia mondiale, e preferiscono offendere la verità storica dando vita ad organizzazioni che vorrebbero far credere ordini cavallereschi dinastici, persone che per megalomania o anche per malattie mentali, o peggio ancora per interessi economici, si attribuiscono senza prova di carattere scientifico l’appartenenza ad una famiglia che ebbe la sovranità su territori, e conducendo una comune normale vita nella società, dimostrano (peggio ancora) di non conoscere per nulla cosa erano queste importanti e storiche istituzioni, che hanno segnato la grandezza di tante Nazioni. A questi ambigui personaggi che insultano l’intelligenza umana e la verità storica dico solamente: “restate al vostro posto senza sporcare quegli ideali che hanno fatto la grandezza della nostra civiltà e che oggi sono rappresentati dalle autorità degli Stati”.

Redazione

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